È trascorso un anno dal nostro congresso, ed il filo conduttore che ci ha accompagnato nel percorso preparatorio a quel appuntamento, che ha condizionato le elaborazioni delle politiche che abbiamo deliberato, nonché l’attività di ciascuno di noi, è stato e continua ad essere “la crisi”. Una situazione che ci ha costretti, a tutti i livelli, ad esercitare fino in fondo quel ruolo caratteristico della nostra Organizzazione, di sindacato riformatore e partecipativo. Abbiamo dovuto assumere di nuovo la responsabilità di soggetto apripista sul terreno dell’innovazione della rappresentanza del lavoro e sociale, caratteristiche che hanno indotto la Cisl ad essere in prima linea in tutti i momenti difficili del nostro Paese. C’è nel nostro DNA la capacità di comprendere i cambiamenti profondi che intervengono nel mondo del lavoro, nell’economia e nel sociale i cui effetti negativi, in questa fase storica, sono stati accelerati dalla crisi, e rispetto ai quali abbiamo voluto sviluppare un nuovo approccio culturale e strumenti sindacali innovati ed adeguati. La necessità di governare i cambiamenti e costruire un sistema adeguato a rispondere ai problemi delle persone che rappresentiamo e che per effetto della crisi o sono nuovi o hanno assunto nuova importanza nella scala delle priorità, ci obbligano ad essere portatori e propulsori delle riforme, ed a smarcarci dai freni che per l’unità sindacale troppo spesso la Cgil ci ha indotto ad accettare; non possiamo permettercelo. Alle famiglie dei lavoratori e dei pensionati con gravi difficoltà economiche non serve un sindacato che presidia le piazze, magari con le casacche della parte politica che intende sostenere o che nostalgicamente vorrebbe riproporre il modello di sindacato di “classe” ed antagonista, ormai fuori dal tempo e dalla storia; le nostre persone vogliono risultati concreti, ed è a questa domanda che abbiamo cercato e continuiamo a voler rispondere, consci che si tratta di un percorso difficile, soprattutto quando, come in qualche occasione capita, ciò significa convincere a rimettere in discussione decisioni unilaterali che producono il peggioramento delle condizioni in essere. All’attuale situazione di criticità derivante dalla perdita del lavoro, dall’interruzione o dalla sospensione dei rapporti di lavoro, si aggiunge la progressiva, ormai quindicinale, perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni; da qui l’azione della Cisl per rimettere al centro del dibattito pubblico e nel confronto con le istituzioni, la centralità del lavoro e la questione fiscale. Sulla questione fiscale il nostro obiettivo è costruire un nuovo “patto” per ridurre le tasse a chi le ha sempre pagate e vogliamo unire in questa nostra richiesta anche il mondo delle imprese, perché per uscire dalla crisi, è importante la detassazione della contrattazione aziendale e nello stesso tempo è importante concedere sgravi selettivi alle aziende che investono sull’innovazione e la ricerca e che difendono e aumentano l’occupazione e la produttività. La giustizia sociale è la nostra priorità, e questa passa soprattutto attraverso una revisione del sistema che regola il contributo di ciascuno alla solidarietà civile; non è più tollerabile far pagare più tasse a quelli che hanno meno. Tra gli effetti che si producono c’è la diminuzione significativa del potere d’acquisto con conseguente contrazione dei consumi, diminuzione dei volumi produttivi e perdita di posti di lavoro. Non è più sufficiente procedere con aggiustamenti, occorre una riforma radicale, che passa attraverso, appunto, un patto che impegni il governo, l’opposizione e le parti sociali. La nostra proposta, che parte dall’ultimo congresso, prevede la revisione delle aliquote irpef, con una riduzione di quelle medio-basse, e lo spostamento di una parte della tassazione sui consumi, recuperando in questo modo anche la progressività, poiché è evidente che consuma di più chi ha di più. Alla famiglia va dato un sostegno maggiore e vanno semplificate e rese più efficaci le norme oggi in vigore. La CISL propone di unificare i sostegni alla famiglia in un unico consistente strumento, tarato sulla base del reddito familiare e dell’ampiezza del nucleo, con una particolare attenzione rivolta alle donne che lavorano, ai bambini ed ai disabili. Oltre che con la tassazione sui consumi, le risorse necessarie per la riforma vanno ricercate con la lotta all’evasione, per esempio con l’istituzione dell’anagrafe tributaria, con forme di contrasto degli interessi, controlli più severi e tracciabilità dei pagamenti. Oltre 100 miliardi di evasione danno ampi margini di recupero, ed un ulteriore intervento è possibile sulle rendite finanziarie, che nel nostro Paese hanno un prelievo del 12,5 % mentre negli altri Stati europei è del 20 %; di contro abbiamo un’aliquota sui redditi da lavoro che si attesta, con le addizionali, al 44 % , producendo l’83 % dell’intero gettito fiscale, e contro una tassazione sull’impresa del 30%, di cui una importante quota è determinata dalla tassa sul lavoro. Abbiamo su questo tema realizzato diverse iniziative che hanno contribuito ad inserirlo nel dibattito pubblico e a metterlo nell’agenda del governo. Dal dopoguerra fino agli anni ottanta, l’economia del nostro Paese è stata pressoché in continua crescita, abbiamo vissuto la trasformazione da un sistema agricolo ad uno industriale e abbiamo costruito un percorso che mano a mano definisse una serie di tutele e di diritti per le persone che entravano in questa nuova dimensione, lo si è fatto sostenendo alcune leggi, come lo statuto dei lavoratori, di cui il prossimo mese ricorre il quarantennale, e soprattutto costruendo un importante sistema di relazioni sindacali. Il mondo imprenditoriale, prevalentemente manifatturiero, fino agli anni ottanta ha beneficiato di crescenti consumi e di una situazione di scarsa concorrenza, ha avuto nelle proprie mani il governo del sistema economico e ciò ha giustificato anche relazioni industriali largamente fondate sulla rivendicazione, in quanto basate sui rapporti di forza al momento esistenti. L’evoluzione del sistema economico, che con l’avvento dirompente della globalizzazione degli ultimi vent’anni, ha ridisegnato i sistemi di potere, il mondo imprenditoriale, in larga parte è diventato subalterno ad una serie di altri poteri, da quello finanziario a quello della grande distribuzione, dalla competitività dei territori in cui insistono alle politiche dei diversi Paesi del mondo, al cosiddetto “mercato”, termine che molti amano poco ma col quale occorre fare i conti. E’ possibile che dentro una simile rivoluzione, siano efficacemente praticabili le relazioni sindacali che abbiamo costruito nel passato? E’ coerente arroccarsi dentro quei confini e subire le conseguenze negative che tale atteggiamento produce su coloro che chiedono tutela al sindacato? O possiamo pensare che tenere i toni alti, alzare la voce, riempire le piazze, sia sufficiente per assolvere al nostro ruolo e metterci a posto con la nostra coscienza? La Cisl ha detto no! E’ andata controcorrente quasi sempre nella sua storia, ma lo ha fatto con maggior determinazione in questi ultimi anni, a fronte della straordinarietà di una crisi che ha accelerato un declino già in corso. Il destino di chi presta la propria attività in una qualsiasi impresa è strettamente collegato al destino dell’impresa stessa, se questa non è capace di innovarsi, di investire, se le condizioni di contesto sono sfavorevoli, se il sistema creditizio non è adeguato, i problemi si ripercuotono inevitabilmente anche su chi lavora in quell’azienda, perché rischia il posto e perché non è in grado di rivendicare miglioramenti economici e professionali. Se quindi vogliamo incidere sulle prospettive del mondo del lavoro, dobbiamo pensare che essendo così strettamente interdipendenti occorre partecipare alle decisioni che si intraprendono e condividere gli obiettivi. Siamo consapevoli che si tratta innanzitutto di una questione culturale, da far maturare nei lavoratori e negli imprenditori e rispetto alla quale le rappresentanze dei due mondi svolgono un ruolo propedeutico fondamentale. L’accordo sulla riforma del modello contrattuale, secondo me, ha una valenza storica non tanto nei singoli capitoli, che pure definiscono importanti risultati, quanto nella svolta culturale che attraverso lo stesso si da alle relazioni sindacali. È un accordo infatti improntato su un’idea partecipativa delle relazioni, un sistema che incoraggia strade meno conflittuali, indispensabile per costruire una economia basata sul valore del lavoro. Se ormai è opinione diffusa che le conoscenze e il capitale umano sono il nucleo fondamentale del vantaggio competitivo di un'impresa e del nuovo modello di sviluppo di un territorio e di un Paese, l'attiva partecipazione dei lavoratori nelle fasi di definizione e di controllo dei percorsi aziendali, ferma restando la distinzione dei ruoli e delle responsabilità, è uno degli elementi da cui non si può prescindere. L'urgenza di intraprendere un tale percorso, ci ha imposto di andare avanti anche senza l'adesione della Cgil, che in modo strumentale ha cercato argomentazioni per contestare l'accordo; a distanza di poco più di un anno i fatti, e le stesse categorie della Cgil che hanno sottoscritto i rinnovi contrattuali, ci danno ragione. In un contesto di crisi generalizzata si sono rinnovati quasi tutti i contratti, senza scioperi, nei tempi previsti e con incrementi retributivi, grazie al nuovo indicatore, superiori a quelli che si sarebbero avuti col vecchio modello. La riforma inoltre stimola la contrattazione di secondo livello, l’ambito nel quale si crea la produttività e si incentiva la crescita del reddito, ma anche il luogo in cui si possono anticipare e governare le situazioni di crisi. Adesso quindi un compito importante è assegnato a ciascuno di noi, che dobbiamo sostenere quell'evoluzione culturale, già menzionata, a livello territoriale e aprire una nuova fase di contrattazione aziendale che faccia perno su questa nuova impostazione. Come Confederazione abbiamo già avviato un confronto nuovo con Confindustria, sia ad Ascoli che a Fermo, con le quali condividiamo queste tesi e intendiamo programmare iniziative che vadano ad incidere proprio sulla dimensione culturale. Contestualmente, come Cisl, abbiamo avviato un primo modulo formativo per delegati, che aiuterà in questa direzione, ed ulteriori iniziative sono programmate con le federazioni di categoria; allo stesso appuntamento di oggi, abbiamo voluto dare un taglio che lo inserisse nel percorso per le politiche formative deliberate dall'ultimo congresso. L'obiettivo che dobbiamo prefiggerci è quello di estendere e legittimare la nostra rappresentanza sindacale nelle aziende, attivando competenze, motivazioni e capacità negoziali. La contrattazione decentrata vogliamo stimolarla, dotarla di contenuti forti e di strumenti operativi e pensiamo che ciò può avvenire attraverso un processo che riteniamo di aver avviato, ma che necessita di costanza e di partecipazione di tutte le nostre strutture. La chiamata, che dobbiamo essere pronti a fare, è a noi stessi e alle altre parti sociali perché si esca dal tranquillo tran tran dei vecchi modelli, spesso ritualistici, di rappresentanza e di contrattazione, e si spendano, con i rischi che questo comporterà, ma di cui non dobbiamo aver paura, per realizzare rapporti più flessibili e responsabili, in cui quello che si ha a cuore non deve essere la difesa di uno status o di un ruolo, o di una rendita di posizione, ma la promozione di condizioni di vita e di lavoro più solide e più eque per tutti. La situazione ci impone di adottare un nuovo sistema che tenga conto che il mondo del lavoro e quindi il sindacato, non può rassegnarsi ad una logica di progressivo rattrappimento, la nostra prospettiva e la nostra azione, fin da ora, deve proiettarsi verso il futuro ed i volti che dobbiamo guardare non sono solo quelli dei nostri iscritti, ma anche dei loro figli, in quanto è solo così che potremo raggiungere quella solidarietà fra generazioni che è oggi minata dal sentimento diffuso che le condizioni di vita e le opportunità di lavoro debbano in futuro essere sempre peggiori. Abbiamo pertanto la necessità di non demordere e portare a compimento i progetti che abbiamo in campo per lo sviluppo nelle nostre due nuove province, sulla crescita della produttività del sistema. Le politiche in campo sul livello nazionale devono essere accompagnate da un’efficace azione locale contrattuale, ma anche da un processo di concertazione con le pubbliche amministrazioni, affinché nel territorio si trovino risposte più adeguate ai bisogni dei lavoratori, dei pensionati e delle loro famiglie, in termini di sviluppo, di occupazione, di servizi, di assistenza, di controllo di prezzi e tariffe e di una equa distribuzione del carico fiscale. In questa prospettiva abbiamo rivisitato, con la FNP, le nostre piattaforme unitarie sul welfare locale e realizzato alcuni accordi significativi, seppur con risorse limitate; contestualmente, nella consapevolezza delle importanti competenze necessarie per esercitare efficacemente queste nuove responsabilità, si è già concluso un primo modulo formativo per concertatori sociali, realizzato in collaborazione con i pensionati, e si sta predisponendo il secondo. Occorre che ci attrezziamo affinché le nostre strutture, verticali e orizzontali, pur mantenendo le proprie specificità degli ambiti di azione, condividano obiettivi e strumenti e si sviluppi un’azione parallela ma sinergica che realizzi il benessere complessivo della comunità, una prospettiva che si renderà ancor più necessaria a fronte del federalismo fiscale che determinerà un ruolo sempre maggiore al livello decentrato e una responsabilità non secondaria al sindacato locale. Siamo altrettanto consapevoli della difficoltà nel realizzare tutti gli impegni a fronte di una situazione nel territorio estremamente critica, con una preoccupante deindustrializzazione nell’area ascolana e una altrettanta problematicità legata alla crisi del distretto calzaturiero fermano. I numeri, che per noi significano persone e famiglie, ci dicono che il numero di donne e uomini in cerca di occupazione sono complessivamente oltre 35.000, che nel 2009 sono state utilizzate oltre 4 milioni di ore di cassa integrazione, di cui la metà è straordinaria e quindi con sbocchi finali, per la maggior parte dei lavoratori coinvolti, nella mobilità; mobilità che ha coinvolto lo scorso anno quasi 4000 persone, con un aumento del 30 % rispetto al 2008, che già era stato particolarmente negativo. Il trend dei primi mesi di quest’anno purtroppo non da segni di miglioramento, gli ammortizzatori sociali tradizionali, quelli in deroga e gli accordi con la regione ed alcuni comuni nel campo del sostegno alle famiglie, hanno permesso di tamponare, seppur parzialmente i problemi di reddito Sa sappiamo che nel corso del 2010 verranno a cessare per molti lavoratori i suddetti ammortizzatori e non si intravedono possibilità di rioccupazione a breve, siamo pertanto già chiamati a cercare ulteriori nuove forme di sostegno che dovranno trovare corrispondenza presso tutti i livelli istituzionali. I temi per la ripresa e per un nuovo sviluppo, ci vedono da tempo propulsori di iniziative e progetti che hanno visto, seppur con fatica ed in maniera ancora non sufficiente, una condivisione di molti soggetti istituzionali e sociali, che tutti voi conoscete in quanto oggetto di dibattito all’ultimo consiglio generale e che pertanto mi limito a citarne alcune: bonifica e polo tecnologico area Carbon, riavvio cartiera con realizzazione della centrale, accordo di programma Piceno Val Vibrata, infrastrutture nelle due province (banda larga, opere viarie e ferroviarie), accordo di programma agroindustria. Su molti di questi argomenti stiamo toccando con mano quanto il sistema burocratico e a volte non adeguate azioni politiche ritardino ed intralcino percorsi importanti ed urgenti. Diversi progetti hanno coinvolto il Ministero dello Sviluppo Economico che deve intervenire con i previsti finanziamenti, ho il timore che le ultime vicende che hanno visto le dimissioni del Ministro Scaiola, possano produrre ulteriori ritardi. Di positivo possiamo registrare il recuperato inserimento del settore calzaturiero nel pacchetto incentivi, in discussione alle camere, che potrebbe dare una spinta alle produzioni del nostro distretto. Per concludere una riflessione sulle questioni organizzative, fondamentali per un proficuo esercizio delle importanti responsabilità che ci sono assegnate e che in parte ho cercato di rappresentare. Abbiamo da poco realizzato l’assemblea nazionale sui servizi e a giorni è prevista quella regionale, l’esito delle quali sarà un’accelerazione in termini riorganizzativi dei servizi stessi funzionale all’integrazione con tutte le strutture; il 19 maggio è prevista una riunione dei segretari di categoria, con la partecipazione della Usr, che sarà occasione di approfondimenti e di conseguenti future decisioni. Nel mese di novembre scorso si è realizzata la reggenza della nostra Ust, con la mia nomina a tale incarico; l’impegno che mi sono assunto è stato quello di portare a termine il progetto di risanamento della struttura e quello di costruire una proposta di nuova segreteria entro un anno, nell’ottica del totale rinnovamento. In questi mesi mi sono avvalso della collaborazione di tutta la segreteria eletta al congresso, che voglio ringraziare per il lavoro che stanno facendo, e credo che subito dopo l’estate possa essere in grado di proporre alla discussione dell’esecutivo delle proposte e prevedere per la fine dell’anno il termine del mio incarico.