Il 14 maggio scorso la Giunta della Regione Marche ha ridefinito la dotazione dei posti letto nella rete ospedaliera marchigiana, facendo seguito a una precedente delibera di gennaio scorso, che metteva a disposizione una quota aggiuntiva di 140 posti letto ospedalieri.
Punto centrale di tale proposta è dato dal fatto che 100 di questi posti letto sono destinati a strutture sanitarie private convenzionate, ovvero, 50 posti letto per acuti da attribuire all'Area Vasta 1 di Pesaro, che saranno allocati presso una struttura "da individuare", ma che certamente sarà di proprietà di soggetti privati. Altre 10 posti letto di post acuti destinati alla struttura privata operativa a Cagli, a cui si aggiungono 20 posti letto post acuti per la struttura privata di Sassocorvaro. Destinati al privato anche i 20 posti letto post acuzie da attribuire all’Area Vasta 2.
Dunque, dopo aver tagliato centinaia di posti letto dal sistema ospedaliero pubblico, un consistente pacchetto di posti letto viene magicamente riattivato per essere attribuito a strutture private accreditate.
Si tratta, com'è evidente, di una decisione che non può lasciare indifferenti che rende necessario proporre alcune riflessioni sul rapporto tra il sistema pubblico e gli erogatori privati che operano nella sanità marchigiana. Riflessioni necessarie a maggior ragione tenendo conto che, proprio in questi giorni, sta prendendo avvio il percorso che porterà alla stesura del Piano Socio Sanitario regionale 2018-20.
Dalla lettura della Relazione al bilancio d'esercizio, approvato dall’ASUR il 18 maggio scorso, emergono dati significativi: nel 2017 le Marche hanno sostenuto una spesa per il privato accreditato di 341,7 milioni di euro, ossia il 12% delle risorse a disposizione del Servizio Sanitario Regionale (poco più di 2,8 miliardi di euro). Rispetto al 2016 si registra un incremento di 20,5 milioni (pari a + 6,5%).
Se si considerano anche i vari Enti e Aziende del Servizio Sanitario Regionale, il privato gestisce il 16,7% dei posti letto ospedalieri complessivi e il 59,1% di quelli dell'area post - acuzie, considerando la dotazione complessiva di posti letto delle strutture private accreditate.
Straripante è la presenza privata nel settore della riabilitazione "ex art. 26": 14 strutture private con 990 posti, contro un solo centro a gestione pubblica con 25 posti. Non va molto diversamente sul fronte dell'assistenza territoriale erogata ad anziani, disabili fisici, malati psichiatrici, terminali e tossicodipendenti. In quest'area il 74% dei posti (residenziali e semiresidenziali) sono gestiti dal privato in convenzione. Un ultimo dato, che forse colpisce più degli altri: il privato assorbe il 47,9% delle prestazioni per i cittadini di altre regioni che vengono a curarsi nelle Marche.
Questi numeri rendono evidente la necessità di rendere più trasparenti, anche attraverso la programmazione sanitaria, le strategie con le quali viene regolata l'operatività dei soggetti privati. A titolo di esempio, non è chiaro il motivo per cui, mentre si razionalizza la rete dei laboratori analisi pubblici, viene rafforzata quella dei privati, che hanno beneficiato di un incremento di budget di 1,7 milioni di euro, più un bonus "una tantum" di 1 milione di euro.
C'è quindi da chiedersi quali siano i vantaggi in termini economici e di miglioramento dei servizi sanitari marchigiani. E soprattutto, è questo il nuovo orizzonte della sanità marchigiana?
Come si pensa di qualificare la committenza della Regione, dando maggior attenzione alla verifica delle condizioni di lavoro nelle strutture e, nella definizione dei budget, ai reali costi sostenuti dai soggetti privati e al rispetto da parte loro delle regole contrattuali?
È chiaro che l'offerta sanitaria privata nelle Marche oggi è poco organica, slegata da logiche di opportuna complementarietà con i servizi pubblici e decisamente rivolta ai cittadini fuori regione, con l'obiettivo di incamerare risorse dalla mobilità attiva. Piuttosto che continuare su un percorso che è inevitabilmente destinato a mettere le Regioni in competizione tra loro, con esclusivo vantaggio degli erogatori privati, è certamente più opportuno investire per qualificare e rendere più completa l'offerta di servizi pubblici, demandando poi a specifici accordi tra Regioni il compito di regolare i flussi della mobilità sanitaria.