«Quello che faremo al tavolo con la Fiat è molto semplice: noi chiederemo di sapere se ha ancora intenzione di produrre 1,4 milioni di auto in Italia, e di investire 20 miliardi in 6 anni, come Sergio Marchionne ha scritto nero su bianco nel suo progetto Fabbrica Italia. Perché, se in caso contrario si va a una riduzione di quelle cifre, noi non siamo per nulla d'accordo: e in quell'evenienza saremo conseguenti, il nostro dissenso sarà forte». Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, parla con il manifesto alla vigilia dell'incontro di domani, a Torino: «Un faccia a faccia che dovrà essere di chiarimento», sottolinea, a segnalare l'importanza del vertice convocato dal governo «in giorni di una confusione che non finisce più, in cui tutti hanno alzato i toni, e le preoccupazioni vanno a mille».
Ma voi come vedete l'annuncio di Marchionne che la nuova monovolume Fiat andrà in Serbia? Mette a rischio Mirafiori? Io dò una risposta che potrà sembrare strana: può addirittura essere una cosa positiva, e non mettere a repentaglio il futuro di Mirafiori. Ma solo a particolari condizioni: quella monovolume, pur essendo importante e interessante come prodotto, non è però a nostro parere così remunerativa come potrebbero essere altri modelli, magari più prestigiosi. E allora io dico: Fiat è una multinazionale, ha fabbriche a Detroit, Belo Horizonte, in Polonia, in Serbia, in Turchia, e può decidere dove posizionare meglio le sue auto. Però, dall'altro lato, ha diversi stabilimenti in Italia, e allora voglio augurarmi che spostare la monovolume a Kraguievac possa voler dire che porta modelli più prestigiosi e remunerativi a Torino, come merita per storia e professionalità quella fabbrica. In caso contrario non capirei di che cosa stiamo parlando.
Come mai anche voi della Cisl, che avete un dialogo più continuo con la Fiat, soprattutto dopo Pomigliano, dovete arrivare a un tavolo convocato in extremis dal governo per avere informazioni così importanti? Della monovolume in Serbia abbiamo saputo come un fulmine a ciel sereno, da un'intervista: e certamente questa cosa non ci ha fatto piacere. Il fatto è che nell'ultimo mese e mezzo, per i fatti che tutti conosciamo, la confusione è arrivata a mille, e così tutti ci si sono buttati sopra. E allora certo, sinceramente questo non era proprio il momento di farci arrivare via stampa informazioni così delicate. Ma questo caos purtroppo nasce dalla strenua opposizione fatta da una parte minoritaria del sindacato, che crede di avere sempre la posizione giusta, e ritiene quelle degli altri addirittura superflue.
Stiamo parlando della Fiom? Se c'è un obiettivo che la Fiom ha ottenuto, è l'esasperazione della Fiat: azienda che poi, quando perde la pazienza, diventa l'esatto speculare della Fiom. Ma io credo al contrario che il sindacato, in questa fase di crisi, dovrebbe avere tutt'altro obiettivo. Stiamo perdendo migliaia di posti di lavoro, e allora il mio dovere in questo momento è mantenere il lavoro dove c'è e favorire gli investimenti: con realismo.
Ma a Pomigliano vi accusano di aver rinunciato ad alcuni diritti per salvare la fabbrica. Ad esempio il diritto di sciopero. Io sono nato nella Val di Sangro, e lì quando avevo vent'anni non c'erano nè fabbriche, nè diritti sociali e del lavoro. I diritti sono arrivati con le industrie. Se io favorisco oggi il consolidamento della Fiat in Italia, dicendo sì all'investimento di Pomigliano, darò oltretutto un segnale alle altre multinazionali: nel nostro Paese si può investire. Al contrario, se la Fiat va via, cosa rimarrebbe a Napoli? La camorra e la disoccupazione, che certo non portano con sè i diritti sociali e la democrazia sindacale. E sullo sciopero consiglio agli amici della Fiom di leggere bene l'accordo: riguarda solo il diciottesimo turno del sabato, non tutta la settimana.
Però a Pomigliano obiettivamente l'accordo resta difficile da gestire: ha votato no quasi il 40% dei dipendenti, quando gli iscritti Fiom sono il 17% Chi sono gli altri? Lì c'è stata soprattutto cattiva informazione, perché molti in quei giorni non andavano in fabbrica. Io dico, e vi prego di scriverlo, che la nostra vittoria a Pomigliano è stata «cla-mo-rosa». Sì: è la prima volta in assoluto che vinciamo di gran misura in un referendum che riguarda delicate questioni normative. E invece cosa mi devo sentir dire l'indomani? Che ha vinto chi ha avuto il 40%, e che rivuole indietro i giocattoli per ricominciare il gioco. La Cisl, quando ha perso, ha sempre accettato il risultato.
Allora la soluzione può essere la «newco», magari assumendo solo chi è d'accordo con voi? O l'uscita dal contratto dei metalmeccanici, per uno nuovo dell'auto? Qui ci sono i miei grossi no: nel senso che non sono affatto contrario a una newco, ma si dovranno assumere tutti gli operai, e alle stesse condizioni precedenti. Nè si possono imporre firme individuali: la tua libertà di oggi, è la mia di domani. Un altro no - ed è ancora più notevole se si considera che io di solito non uso mai negazioni definitive - è all'uscita dal contratto dei metalmeccanici. Non è possibile che uno solo dei contraenti decida: la Cisl è contraria.
Nell'incontro di Torino dite di sperare che Epifani «porti a giudizio» la Fiom. Vi siete sentiti in questi giorni con lui? Siete ottimisti? Io avevo formulato quell'auspicio dopo aver letto un'intervista di un mese fa al Corriere della Sera, in cui Epifani di fatto sconfessava la Fiom. Ma ieri è tornato a dichiarare che con Fiat bisogna azzerare tutto e ritrattare da capo, e questa frase perciò non mi fa sperare che si stia andando nella direzione da me auspicata.
Dal Manifesto - 27 luglio 2010