Il 5 maggio scorso all'ITAS Matteo Ricci di Macerata Gabriele Del Grande ha presentato il suo ultimo volume “Il mare di mezzo”, in occasione di un evento organizzato da ISCOS Marche Onlus, Anolf e Cisl Macerata.
Gabriele Del Grande, viaggiatore e scrittore, è nato a Lucca nel 1982, si è laureato a Bologna in Studi Orientali. Scrive su L’Unità, Redattore Sociale e Peace Reporter e collabora con lettera27. Nel 2006 ha fondato l’osservatorio sulle vittime dell’emigrazione Fortress Europe. Per Infinito edizioni ha pubblicato Il mare di mezzo (2010), Mamadou va a morire (2007) e ha collaborato a Come un uomo sulla terra (2009). Per le Edizioni del Gruppo Abele (EGA), ha collaborato al quarto taccuino del premio Ilaria Alpi Africa e Media.
Il suo blog Fortress Europe (http://fortresseurope.blogspot.com) è dedicato alla memoria delle vittime dell'emigrazione e alla denuncia dei crimini commessi alla frontiera contro migranti e rifugiati. Nato nel gennaio 2006, non riceve nessun finanziamento e si regge su una rete volontaria di giornalisti, traduttori e associazioni.
Riportiamo alcuni dei numerosi temi trattati. Rimandiamo al blog e ai libri per approfondimenti.
Dalle parole alle categorie: la premessa dell’intervento è stata l’importanza delle parole utilizzate per descrivere il fenomeno delle migrazione, e come si passi dalle parole alle categorie, che individuano gruppi di persone. Stiamo assistendo, e partecipando, a un processo di disumanizzazione. Si parla ad esempio di clandestini, categoria che esclude dai diritti umani. Neanche le morti fanno più notizia, tanto le persone coinvolte sono ormai considerate meno che esseri umani. Il senso del libro presentato, il volume “Il mare di mezzo”, è quello di raccontare storie personali, che insieme scrivono la Storia, quella che fra qualche anno i nostri figli e nipoti studieranno a scuola: la Storia delle migliaia di morti nel Mediterraneo, dei milioni di persone che vivono in Europa senza il diritto di voto, dei mancati riconoscimenti del diritto di asilo politico, la storia delle carceri libiche. In questi mesi, per motivi di propaganda politica, si è molto insistito sugli sbarchi via mare e sugli accordi per bloccare questi sbarchi. Se si controllano le statistiche degli ultimi cinque anni, per ogni persona sbarcata ci sono dodici lavoratori richiesti dallo stato italiano attraverso i decreti sui flussi migratori: il mito dell’invasione è quantomeno ridimensionato da queste cifre. Nonostante le dimensioni numeriche contenute del fenomeno, sono stati firmati diversi accordi tra i governi italiano e libico per far cessare gli sbarchi, e in effetti questo risultato è stato ottenuto. Il prezzo da pagare è la sospensione dei diritti umani. Due esempi. Il primo quello dei salvataggi in mare: oggi, se un equipaggio di pescatori salva da un naufragio una persona, rischia la denuncia e la confisca della barca. Il secondo esempio è quello della marina militare. Mentre in passato si distingueva per il coraggio nei salvataggi anche in zone di non competenza, oggi vige l’obbligo di respingimento. Con l’aggravante che le imbarcazioni militari sono territorio italiano e sottoposte alla legge italiana. Legge che prevede il diritto di richiedere asilo politico, che può poi essere concesso o meno dopo un procedimento di valutazione. Sulle imbarcazioni della marina militare attualmente questo diritto non è riconosciuto: il respingimento è immediato. La situazione poi delle carceri libiche è semplicemente disumana. Numerosi i rapporti sulle condizioni di detenzione, anche da parte del SISDE, sulle violenze, la corruzione, la vendita di persone come schiavi. Segnaliamo su questo aspetto il documentario “Come un uomo sulla terra”. Il problema dei respingimenti ha una dimensione europea. In Spagna la polizia di frontiera spara sulla gente (12 morti finora). In Grecia migliaia di persone cercano di infilarsi sotto i camion per poter partire via nave da Patrasso o Igoumenitsa. Malta riceve tantissime richieste di asilo. Ed è un dato di fatto che altri paesi dell’Europa, come Francia, Germania, Inghilterra di fatto scaricano le proprie responsabilità sui paesi di frontiera. Emblematico, da un punto di vista sindacale, il caso dei sindacalisti tunisini. Dopo una serie di proteste sono stati arrestati e processati per associazione a delinquere. Alcuni di loro sono riusciti ad arrivare in Italia e chiedere asilo politico. Dai verbali della commissione risulta che le descrizione delle violenze subite era “troppo dettagliata e concorde tra i vari richiedenti” per essere verosimile, e quindi l’asilo politico è stato negato.
Per saperne di più: Fortress Europe