Un editoriale uscito proprio stamane su un importante giornale segnalava come questa sia una stagione senza “feste civili”, dove i riti della memoria comune vengono considerati desueti, guardati con indifferenza o addirittura con insofferenza. Per questo è importante mantenere manifestazioni come quella di oggi qui a Porto Recanati, e per questo ringrazio il Sindaco e l’amministrazione, perché occasioni come queste rappresentano una tradizione significativa per la comunità, ma anche un segnale culturale in controtendenza. Sì perché in un giorno come quello odierno, la Festa del Lavoro, ci sono invece amministrazioni di vario orientamento che hanno deciso che la cosa veramente fondamentale fosse autorizzare i negozianti a tenere aperti i loro esercizi; al lavoro quindi non solo i lavoratori dei servizi di pubblica utilità, operatori sanitari, forze dell’ordine e tanti altri, oppure gli addetti alle attività turistiche e di accoglienza, ma i dipendenti di tutte le attività commerciali, nella malintesa idea che i soldi spendibili dalle famiglie si moltiplichino se c’è un giorno di festa in più in cui fare shopping, e diano uno slancio per superare la crisi; respingiamo questa solerzia, questa esagerata disponibilità alle presunte esigenze del mercato, e soprattutto richiamiamo al rispetto delle leggi; la nostra legge regionale sul commercio è parla chiaro a questo proposito.
In questo momento, in contemporanea in tutta Italia si svolgono centinaia di iniziative di festa e memoria come questa, qui a Porto Recanati. In questo momento si svolge anche la manifestazione nazionale “Lavoro, Legalità, Solidarietà”, che Cgil,Cisl,Uil hanno voluto oggi realizzare a Rosarno, teatro di una delle pagine più brutte e tristi della nostra recente storia sociale.
Il sindacato italiano non dimentica non dimentica gli immigrati costretti a vivere in baracche, in vecchi stabili in rovina, accatastati come in stalle,… persone venute in Italia per cercare fortuna come milioni di nostri connazionali hanno fatto per decenni, partendo su treni e navi verso tanti paesi.
Facciamo memoria delle umiliazioni, delle discriminazioni che tanti italiani migranti nel mondo hanno subito, analoghe alle tante situazioni nelle quali sono confinati tanti lavoratori, soprattutto immigrati, non solo in Calabria; situazioni di illegalità, di evasione fiscale e contributiva, di contratti non rispettati, di norme sulla sicurezza ignorate.
Ne abbiamo avuto la conferma in questi giorni con l’operazione condotta a Rosarno da magistratura e forze dell’ordine, che ha portato all’arresto di decine di persone coinvolte nella rete organizzata dello sfruttamento, che è appropriato definire criminale, e che si alimenta nelle situazioni di degrado sociale, che a sua volta contribuisce a rafforzare, in un perverso e detestabile intreccio.
Primo Maggio a Rosarno dunque perché la Festa del Lavoro è anche la giornata della solidarietà internazionale dei lavoratori e ormai internazionali e multietnici sono nei fatti la nostra realtà sociale e il nostro mondo del lavoro. In Italia, uno dei paesi più sviluppati al mondo, da anni arrivano persone utili per le nostre attività economiche e necessarie per l’assistenza di tanti nostri anziani; mancano però politiche sociali, educative e abitative all’altezza di una sfida così complessa.
So bene che questo è un tema complicato, dove le sensibilità possono essere diverse anche tra di noi, anche tra i lavoratori, ma credo sia doveroso assumersi il problema di contrastare una deriva culturale che spinge a chiudersi nella difesa dei propri confini e delle proprie certezze, che alimenta la paura del futuro e il timore della diversità, ignorando la storia del nostro popolo e delle sue sofferte e molteplici migrazioni; credo sia necessario ribadire l'impegno per regolarizzare il lavoro, per favorire l'integrazione sulla base dei diritti che devono essere garantiti a tutti e contemporaneamente dei doveri civili che il lavoratore immigrato deve sentirsi impegnato a rispettare.
Ma il Primo Maggio è in primo luogo festa del lavoro, serve a manifestare il lavoro e per il lavoro, serve a ricordare a tutti, alla politica, alle istituzioni, ai signori dell'economia, ai guru della finanza, ai mezzi d'informazione, ad ognuno di noi, che, come dice l’Inno dei lavoratori, di fine ‘800:
“Noi vivremo del lavoro!…il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà…”: parole che, dopo tanti anni non hanno perso la loro forza e intensità, parole che continuano a trasmetterci emozioni e ideali.
“Noi vivremo del lavoro!”: parole che ci spingono a fare memoria del lavoro di un tempo nelle nostre terre, nelle nostre contrade, nelle nostre botteghe, nelle nostre filande, nelle nostre miniere. Lavoro duro e spesso sfruttato, lavoro minorile, lavoro insalubre, lavoro di donne “in attesa”, lavoro “licenziato” ad nutum, lavoro dall’alba al tramonto, lavoro senza contratto…
“Noi vivremo del lavoro”: parole che ci spingono a fare memoria dell’azione coraggiosa e feconda degli uomini e delle donne che hanno immaginato, progettato, dato vita, in varie forme e tempi, alle associazioni sindacali; di coloro che ci hanno creduto, hanno fatto crescere il sindacato nel nostro Paese, nelle fabbriche, nei campi, negli uffici pubblici, hanno contribuito a creare un avanzato sistema di tutele e diritti, costruito nei decenni scorsi.
Sono parole che fanno pensare ai soprusi e alle ingiustizie che ancora sono perpetrati in tanti paesi del mondo, dove i diritti civili e politici sono negati, ai tanti sindacalisti uccisi o fatti sparire ogni anno (76 nel 2008), alle migliaia di lavoratori incarcerati o licenziati in tanti paesi per il loro impegno come rappresentanti sindacali nei luoghi di lavoro.
Per chi, come noi oggi qui presenti, è convinto che il lavoro rappresenti un valore inestimabile per la persona e per la comunità; per chi, come noi, ha sempre rivendicato per il lavoro un posto centrale nella società e nelle attenzioni della politica; per chi, come noi, crede che la nostra Costituzione conservi ancora la sua forza e la sua attualità proprio perché mette al centro il lavoro e il rispetto della dignità della persona che lavora, affermare che noi vivremo del lavoro significa sostenere anche per il futuro l’impegno a promuovere, difendere e rappresentare il lavoro umano.
Con le parole “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, i Costituenti stabilirono infatti che la nazione non doveva essere fondata sul censo, sulla nobiltà ereditaria, sul privilegio, sullo sfruttamento, ma sul dovere-diritto di ogni persona, attraverso il lavoro, di partecipare attivamente e concretamente al bene comune.
A distanza di sei decenni, il lavoro resta ancora un elemento essenziale di identità personale, familiare, sociale,“si è” ancora molto in relazione a quello che “si fa”; il lavoro è fonte e strumento di autonomia, di indipendenza personale, di potenziale crescita professionale, di gratificazione, di relazionalità, di partecipazione alla vita ed allo sviluppo di una nazione; per i credenti il lavoro è un contributo alla trasformazione del Creato.
Ma sappiamo che i profondi cambiamenti che hanno trasformato la società moderna hanno inciso in misura forte anche sul lavoro, a livello culturale, organizzativo ed economico. Sappiamo che per anni si è teorizzato qualcosa di diverso, si è persino scritto e dissertato sulla “fine del lavoro”, sappiamo che ha avuto sempre più presa la cultura del successo facile e della rendita, cioè l'idea che si possa vivere bene sfruttando i vantaggi di una posizione acquisita o ereditata, si tratti di rendita finanziaria o immobiliare, rendita professionale o legata alla politica, rendita speculativa o persino derivata da attività illegali; oppure l’idea che per raggiungere una determinata posizione si debba fare in fretta e si possano utilizzare mezzi di vario genere, ignorando le esigenze altrui e se occorre, anche le regole.
Il lavoro rischia oggi di fare notizia solo in negativo, quando c’è un drammatico infortunio mortale oppure quando qualche azienda importante chiude e centinaia di persone rimangono senza lavoro. O ancora perché quanto si guadagna col lavoro non basta ad arrivare a fine mese.
E’ certo che il lavoro oggi è una delle maggiori ragioni di inquietudine e persino di angoscia, sia per chi lo ha perso o teme di perderlo, sia per chi fa fatica a trovarlo o ne vive una condizione di semi-permanente precarietà, come i tanti giovani che pagano la scarsa mobilità sociale e i carenti investimenti sul futuro fatti nel nostro paese.
La grande crisi sta ancora dispiegando i suoi effetti perversi sull’economia reale e sul lavoro.
Sappiamo che siamo stati sottoposti ad una sorta di “tsunami socio-culturale” che ha allentato i vincoli comunitari, ha sfilacciato le reti di sostegno familiare, ha reso più incerte le possibilità educative, ha modificato stili di vita e di consumo…
La grande crisi viene da lontano ed è intrinsecamente legata alla mancanza di giustizia, ad uno squilibrio enorme e ingiustificabile nella distribuzione della ricchezza nel pianeta. L’affermarsi negli ultimi trent’anni dell’ideologia del profitto da realizzare a tutti i costi, ha trovato risposte comprimendo il costo del lavoro, riducendo o precarizzando l’occupazione, incentivando investimenti finanziari anche da parte di cittadini più fragili ed esposti, indotti ad indebitarsi e ad elevare il livello di consumi oltre le loro reali possibilità, ignari dell’alto livello di rischio.
La crisi mondiale ha certificato un contestuale fallimento del mercato, degli enti di regolazione e di vigilanza, della politica.
E mentre tutti hanno affermato che riformare il capitalismo attraverso una democratizzazione della finanza era ormai necessario e mentre fiumi di denaro pubblico sono stati impegnati per tamponare gli effetti della crisi, oggi assistiamo ad un riemergere della speculazione, ad un riaffacciarsi degli squali della finanza. C’è la necessità di provvedimenti forti e condivisi tra governi, sia per definire nuove regole per la finanza mondiale, sia per sostenere l’economia reale colpita dalla recessione.
Speriamo che l’Unione europea sia politicamente più unita e propositiva rispetto al recente passato, e che il sindacato internazionale ed europeo diventino sempre più interlocutori autorevoli delle istituzioni e dei poteri economici. Reti di organizzazioni non governative, di associazioni, di sindacati in tutto il mondo sostengono l’esigenza di un nuovo ordine mondiale, che cambi le priorità su cui investire per il futuro. E’ un bel segnale che trova alcune importanti corrispondenze in alcuni leader mondiali.
Primo maggio dunque per rimettere al centro il lavoro, le tutele sociali e sindacali, le attività economiche basate sul lavoro della gente, primo maggio per rafforzare la lotta alle speculazioni finanziarie e al mito del profitto a breve e a tutti i costi.
Primo maggio per rimettere al centro questi temi anche in Italia; per far ripartire quel meccanismo che oggi sembra essersi inceppato in questo nostro paese; il meccanismo democratico che consentiva di parlare di solidarietà, di coesione, di responsabilità; di chiedere alla politica, alle istituzioni una prospettiva di bene comune. Le parole del Presidente Napolitano che, periodicamente e in modo sempre più severo e accorato, richiama al dialogo, al confronto dialettico sui problemi dei cittadini, per superare il clima da trincea che si vive ormai permanentemente tra le istituzioni e le forze politiche, dovrebbero essere scontate e diventano invece come una luce accesa nella penombra.
Diciamo allora con forza che vogliamo che questi appelli siano ascoltati, che si parli delle priorità di questo paese, che si mettano insieme tutte le enormi energie di cui dispone l’Italia per custodire e rinnovare ciò che resta della nostra tradizione, della nostra operosità, del nostro dinamismo, delle nostre reti di solidarietà, ed al contempo per avviare progetti nuovi, scoprire nuovi percorsi di sviluppo economico, coltivare nuovi terreni di socialità.
Diciamo al Governo che gli ammortizzatori sociali che abbiamo chiesto e contribuito a mettere in campo, con risorse statali e delle regioni anche per i lavoratori delle piccole imprese, sono stati importanti per tamponare gli effetti della crisi sul lavoro ma non bastano per guardare al futuro; che le risorse stanziate finora per incentivare un nuovo sviluppo basato sul sostegno ai nostri settori cardine, sono utili ma non sono sufficienti né per dare una scossa ai consumi, né per stimolare l’innovazione e l’evoluzione di qualità, né per favorire la creazione di nuova occupazione; che i tagli alla scuola e all’università, che sarebbero stati comprensibili nell’ottica di ridurre gli sprechi e favorire collaborazioni e sinergie, sono invece così pesanti da prefigurare un peggioramento delle capacità del nostro sistema formativo; che gli interventi a favore delle fasce più disagiate della popolazione sono stati poco più che un pannicello caldo.
Siamo tra quelli che sin dall’inizio della crisi hanno scelto con convinzione di agire su un doppio binario : quello di chiedere provvedimenti di contrasto alla recessione e di sostegno ai lavoratori più colpiti, e quello di impegnarci per dei percorsi di riforma utili al mondo del lavoro, al paese e alla sua coesione, nonostante tutte le difficoltà.
Diciamo quindi che è tempo di intervenire sul fisco. L’imposta sulle persone fisiche, che con l’Iva rappresenta la principale entrata per lo Stato, viene versata quasi al 90% da operai ed impiegati, al lavoro o in pensione. Ogni anno l’evasione fiscale sottrae circa 100 miliardi al bilancio statale. E’ evidente l’urgenza di misure che tengano insieme l’esigenza di tenuta dei conti pubblici con quella di dare respiro a salari e pensioni. La forte pressione del sindacato sul tema del fisco, pur con modalità diverse, nasce da questa urgenza: le risorse possono e devono venire dalla lotta all’evasione, ripristinando i provvedimenti sulla tracciabilità, eliminati da questo governo; le risorse possono venire da una più incisiva lotta al lavoro nero e irregolare, da nuovi meccanismi che creino un interesse del cittadino ad esigere scontrini, ricevute, e qualsiasi altro titolo possa essere portato in deduzione. La necessità prioritaria è il sostegno delle famiglie con redditi medi e bassi con forte propensione al consumo, spostando il peso del prelievo dal lavoro alla rendita e ai consumi di lusso. Al contempo è forte la sollecitazione di politiche di sostegno alle imprese che fanno occupazione e innovazione, che investono per uno sviluppo basato su qualità, eco compatibilità e sostenibilità sociale. Il sindacato è interessato a dialogare con gli imprenditori su questi temi, per tutelare il lavoro e mantenere il radicamento nel territorio di quelle imprese che cercano di superare la crisi non puntando solo sui fattori di costo o sullo smantellamento dei siti locali, ma sulla ricerca di aumento della produttività, su ridefinizioni organizzative, su investimenti su nuovi prodotti, sulla ricerca di nuovi mercati. Chiediamo alle istituzioni, in primis come dicevo al governo, di fare la propria parte,.
Le parti sociali non sono state ferme: va sottolineato che in questi mesi, pur in un periodo di grave crisi, sono stati rinnovati molti contratti nazionali, alla naturale scadenza, senza conflittualità. Ora dobbiamo finalizzare al meglio l’utilizzo, in quantità e qualità, delle risorse per la formazione, chiedere con forza un rafforzamento delle misure a favore di nuova occupazione e misure che incentivino la divisione del lavoro, come in parte già realizzato con i contratti di solidarietà.
Alla regione, con cui abbiamo siglato nei mesi scorsi importanti accordi a tutela del lavoro, chiediamo di confermare questa disponibilità anche ad inizio della nuova legislatura. A sostegno del lavoro e della nostra coesione sociale dobbiamo infatti mobilitare tutte le risorse anche dei nostri territori, come in parte già fatto con le tante delibere di comuni e province, con i tanti accordi anticrisi tra amministrazioni locali e sindacati. Dobbiamo però fare un salto di qualità, con la determinazione comune a scommettere su una più avanzata concertazione, per creare massa critica, non solo dimensionale ma anche culturale, per superare le litigiosità e i campanilismi che spesso riducono le nostre potenzialità, per definire gli assi su cui orientare il nuovo sviluppo, incentivare in vario modo tutte le forme di coalizione strutturata (tra istituzioni, tra esse e forze socio-economiche, tra realtà associative ed accademiche, tra imprese) finalizzate a realizzare progetti di qualità amministrativa, progetti di qualità in ricerca nel sistema produttivo, nella crescita del capitale umano, nella tutela del territorio, soprattutto finalizzate alla creazione di nuovo lavoro.
Sì, per il lavoro; per rimetterlo al centro, per tutelarlo e promuoverlo, per renderlo più sicuro e dignitoso, serve una nuova stagione comune di apertura innovazione, cooperazione, responsabilità collettiva.
Per dare una speranza ai tanti volti di uomini e donne che, sul lavoro e per il lavoro, vivono la frustrazione della ricerca infruttuosa, l’umiliazione del diritto negato, l’incertezza e talvolta la paura del futuro, serve un impegno straordinario che faccia diventare quotidiano, ordinario, consueto, il Primo maggio.
E servono tante energie e tante volontà per portare avanti questo impegno, che ne sono certo, ognuno di noi oggi qui, vuole confermare e rafforzare.