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  • Lavoro. L'articolo 18 resta con più flessibilità.

 di Stefano Mastrovincenzo, Segretario Generale Cisl Marche

Terzo ed ultimo appuntamento sulle nuove norme sul mercato del lavoro

(I due precedenti: 18_09_12 RIFORMA DEL LAVORO E NUOVI AMMORTIZZATORI SOCIALI

25_09_12 RIFORMA DEL LAVORO. FLESSIBILITA' SANA E BUONA OCCUPAZIONE)

 

Nella recente Riforma del lavoro ha trovato spazio anche la rivisitazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, da decenni al centro di dispute e di contrasti.

Su questo aspetto c’è stato un confronto complicato tra il Governo, che partiva dall’intenzione di modificare profondamente l’articolo 18, supportato da alcune associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali, che hanno sempre respinto la tesi secondo cui l’art.18 sarebbe una delle cause principali del nanismo delle imprese italiane e degli scarsi investimenti esteri in Italia. Restiamo convinti che il vero problema del mercato del lavoro italiano non sia la scarsa “flessibilità in uscita”, ma la troppa “flessibilità in entrata”, che genera incertezza e precarietà. L’azione negoziale del sindacato, pur senza arrivare alla firma di una intesa col governo, ha impedito lo smantellamento dell’articolo 18, che viene dunque mantenuto, e che continuerà a svolgere in modo più flessibile il suo ruolo di difesa dei lavoratori e di deterrenza contro licenziamenti, abusi e discriminazioni, con tutele articolate a seconda del tipo di licenziamento (discriminatorio-disciplinare-economico).

 Per saperne di più…

Licenziamento discriminatorio: è determinato da ragioni di tipo politico e religioso o per l’appartenenza ad un sindacato o la partecipazione alle sue attività.

Licenziamento disciplinare: (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) è dovuto a un grave inadempimento del lavoratore rispetto agli obblighi derivanti dal contratto di lavoro.

Licenziamento per motivi economici: (per giustificato motivo oggettivo) quando un’azienda riorganizza il lavoro e l’attività produttiva interna, sopprimendo una posizione lavorativa.

Reintegrazione: è il diritto del lavoratore licenziato ingiustamente a tornare nel proprio posto di lavoro o in altro equivalente.

Indennità sostituiva del reintegro: è un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore che decida di non tornare a lavorare per l’azienda che lo ha licenziato ingiustamente

Risarcimento del danno: è l’altra tutela che spetta al lavoratore licenziato ingiustamente ed è anch’esso calcolato in mesi di retribuzione.

Col “nuovo” art. 18, cosa succede se si è licenziati per motivi discriminatori?

Si ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, sostituibile a scelta del lavoratore con una indennità di 15 mensilità, e al risarcimento del danno come previsto dal “vecchio” art.18., commisurato cioè alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe dovuto percepire dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, comunque non inferiore alle 5 mensilità, con relativo versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

E se si è licenziati per motivi disciplinari?

Se il giudice ritiene che il fatto disciplinare di cui si è accusati non esiste, oppure esiste, ma per esso il contratto collettivo di riferimento prevede una sanzione minore rispetto al licenziamento (ad esempio multa o sospensione), allora si ha diritto alla reintegrazione, sostituibile a scelta con l’indennità, e ad un risarcimento che deciderà il giudice fino ad un massimo di 12 mensilità. Nelle altre ipotesi in cui il giudice ritenga che il licenziamento sia nel caso specifico comunque sproporzionato, si ha diritto a un indennizzo compreso tra 12 e 24 mensilità. 

Infine, cosa accade se si è licenziati per motivi economici?

In questo caso datore di lavoro e lavoratore devono prima cercare di trovare un accordo (valutando motivi del licenziamento, soluzioni alternative ad esso, misure di sostegno del lavoratore..) tramite una procedura obbligatoria di conciliazione presso la Direzione provinciale del Lavoro.  In tale procedura, le due parti possono farsi assistere dal sindacato, da una associazione di impresa o da consulenti. Il tentativo di conciliazione deve concludersi in 20 giorni, salvo proroga concordata tra le parti. Se non si raggiunge un accordo, il lavoratore potrà comunque impugnare il licenziamento di fronte al giudice. Se in giudizio si accerta che il motivo economico indicato dall’impresa non sussiste, allora si ha diritto alla reintegrazione, sostituibile con l’indennità, e a un risarcimento fino a 12 mensilità che deciderà il giudice. Se invece il giudice ritiene che il motivo economico indicato dall’impresa sia reale ma non sufficiente a giustificare il licenziamento, allora si ha diritto a un indennizzo tra 12 e 24 mensilità.

Art.18 a parte,c’è qualche ulteriore elemento della Riforma utile per i lettori ?

Due ultimi aspetti: viene reintrodotta una norma di contrasto alle dimissioni in bianco che era stata cancellata dal Governo Berlusconi, ed è previsto il prolungamento del permesso di soggiorno per i lavoratori immigrati in caso di perdita del posto di lavoro.

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