Le Marche verso il futuro

In questa fase in cui è ancora acuta la crisi indotta dalla pandemia Covid-19, è di grande importanza aprire una riflessione su come le Marche possano rilanciare la propria economia, utilizzando al meglio le opportunità offerte dalle risorse del PNRR (Piano Nazionale di ripresa e resilienza), versione italiana del Next Generation EU, e quelle della nuova programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali di investimento. Irrobustimento delle infrastrutture, ammodernamento dei sistemi produttivi, potenziamento delle reti di welfare (scuola, sanità e sociale), transizione ecologica e digitale, sono sfide da cogliere nel segno dell’inclusione e della coesione sociale e territoriale, sostenendo, in particolare, i giovani e le donne, ai quali è rivolto principalmente il piano europeo. Per comprendere l’impatto di tali politiche sulle diverse realtà territoriali e come si intreccino con le traiettorie dell’innovazione e dello sviluppo sostenibile, occorre individuare le priorità, partendo da scenari il più possibile condivisi. Nella indispensabile opera di selezione degli interventi, che deve avere una visione strategica, è quanto mai necessario rifocalizzare i punti di forza e di debolezza del contesto marchigiano.

Pensiamo di svolgere  questa riflessione all’interno di 3 cornici tematiche, che saranno definite in successione, nel seguente ordine : assetto e competitività dei sistemi produttivi, mercato del lavoro, welfare.

In ognuna delle schede saranno proposti alcuni elementi per l’analisi e succintamente presentate possibili linee di azione, da intendere come contributo ad una discussione ad ampio raggio che coinvolga e responsabilizzi tutte le Istituzioni e i soggetti sociali ed economici della Regione e punti ad un Nuovo Patto per il rilancio delle Marche.

01/06/2021 3. Un nuovo welfare per un nuovo sviluppo nelle Marche
  di Sauro Rossi, Segretario Generale Cisl Marche L’auspicata ripresa economica deve essere all’insegna della sostenibilità e dell’equità sociale, per ridurre i divari territoriali che la crisi pandemica ha aggravato e per valorizzare quegli ambiti di economia in grado di generare valore aggiunto per tutto il sistema. La sostenibilità sociale dello sviluppo è assicurata dal lavoro di qualità e dal rafforzamento delle reti di welfare, intese come articolato sistema di servizi, tutele ed assistenza nel campo dell’istruzione, della sanità, della previdenza e del sociale in senso stretto. Il rafforzamento non va inteso come semplice, per quanto importante, consolidamento di ciò che esiste ma come sostanziale rinvigorimento degli interventi, che implica incremento quantitativo e adeguata riorganizzazione degli stessi, in una logica di forte integrazione tra le diverse aree. E’ un rinvigorimento per il quale andranno utilizzate al meglio le risorse previste dal PNRR, combinando  le misure ancora legate all’emergenza COVID-19 con quelle volte a favorire il rilancio del nostro Paese. Nel tracciare queste traiettorie un’attenzione particolare va dedicata alle tendenze demografiche. Le Marche nell’ultimo decennio (2010-2020) hanno perso 34.000 abitanti e, senza interventi correttivi, si prevede ne perdano altri 56.000 nel 2040 e ben 193.000 nel 2060. La popolazione 0-18, già scesa di 20.000 unità negli ultimi due lustri, calerà di 33.000 nel 2040 e di 48.000 nel 2060. Andamento analogo si registra per le persone in età da lavoro (15-64): calate di 47.000 unità nel secondo decennio del secolo, scenderanno rispettivamente di oltre 151.000 unità nel 2040 e di 238.000 nel 2060, passando dall’attuale 62.4% al 54.5% tra 20 anni. Contestualmente continueranno a crescere gli anziani (>65). L’aumento di 32.000 unità nel periodo 2010-2020, raggiungerà il picco di +115.000 persone nel 2040, per poi attestarsi su un +82.000 nel 2060. Entro il 2060 raddoppierà il numero degli over 84 (i cosiddetti “grandi vecchi”) che passeranno dal 4,5% di oggi al 9,7%.  Il rapporto tra le persone a carico e quelle che lavorano (indici di dipendenza strutturale) passerà dal 60.2% di oggi all’83.5% del 2040. Andamenti di questo tipo presuppongono l’attivazione di politiche volte a contrastare la denatalità, supportare la genitorialità, incrementare l’attrattività dei territori per gli investimenti produttivi, riorganizzare i percorsi formativi, favorire l’invecchiamento attivo, garantire adeguati livelli di cura alle persone. E’ necessario affiancare alle politiche di contrasto alla denatalità anche politiche migratorie, coordinate su base europea, basate su  accoglienza, inserimento e formazione degli immigrati, qualificandole come  fattore di arricchimento culturale ed economico. La scuola ha bisogno di essere ripensata in profondità. Si tratta di intervenire con un massiccio piano di investimenti per l’edilizia scolastica (mettendo in sicurezza gli ambienti e puntando al loro efficientamento energetico e sismico), con il rafforzamento degli organici  (attraverso nuove procedure di reclutamento del personale), ma anche  di rimodellare la mission, aprendola al pieno sostegno della logica del life long learning. La popolazione scolastica ”classica” (6-19) anni nelle Marche calerà nel 2040 del 13% e del 20% nel 2060. Nell’ultimo triennio gli alunni sono passati da 210.045 e 204.524 (-2.63%) con sostanziale tenuta delle secondarie di 1° e 2° grado e un calo di infanzia (-7.93%) e primaria (-5.03%).La contrazione della base di riferimento  storica è evidente. Anche per questo è indispensabile che la scuola, fondamentale Agenzia sociale, veda riconfigurato il suo stato di comunità educante, entrando a pieno titolo nell’articolato percorso di formazione  degli adulti lungo tutto l’arco della vita. La stessa Università dovrà trovare il modo di concorrere a qualificare gli interventi di accompagnamento nelle transizioni, giocando un ruolo attivo nei percorsi di orientamento e di formazione continua, partecipando alla messa a punto di azioni volte a ridurre il fenomeno dei NEET (giovani che non studiano e non lavorano). La crescita di livello medio di istruzione nella fascia 25-34 anni e del contestuale aumento dei laureati in discipline tecnico-scientifiche è, infatti, ancora accompagnata da tassi bassi di formazione continua e permanente. Nel raccordo tra Scuola e Università assume un rilievo fondamentale l’opera di diversificazione, incremento e miglioramento dei percorsi ITS  Dentro questo quadro diviene di fondamentale importanza portare su nuovi equilibri la scelta tra gli indirizzi della scuola secondaria superiore. Va letto ed interpretato attentamente il fenomeno del notevole incremento del tasso di liceizzazione, a scapito delle scelte per gli istituti tecnici e professionali. Il suo valore (53.9%), in linea con la media nazionale, è invece molto più elevato di quello di regioni come la Lombardia (51.8%); Emilia Romagna (46.8%); Veneto (45.8%) che presentano minori asimmetrie tra domanda e offerta di lavoro per i giovani. Il rafforzamento di tutte le aree dell’orientamento rimane punto fondamentale di qualificazione dei percorsi di istruzione, formazione e lavoro. Nella necessaria riorganizzazione del Sistema Salute delle Marche bisogna tener conto della annosa, sperequata, allocazione di risorse tra Ospedali, Territorio e Prevenzione. Nell’ultimo bilancio pre-pandemia Covid-19 (2019), rispetto ad una distribuzione ritenuta ottimale di 44% Ospedali; 51 %Territorio; 5% Prevenzione si registrava un 52.5% Ospedali; 44.7% Territorio; 2.8% Prevenzione. In altri termini significa fare i conti con un sottofinanziamento dei Servizi e della Medicina Territoriale per quasi 230 mln di € e della Prevenzione per  altri 80 mln di €. Il riassetto necessario passa attraverso una diversa configurazione dell’assetto delle cure primarie, dell’assistenza domiciliare, dell’assistenza extra-ospedaliera (RSA, RP, Centri diurni, Ospedali di Comunità): della rete di emergenza-urgenza e un effettivo potenziamento di tutti i servizi che fanno capo alla Prevenzione, a cominciare da quelli della Sicurezza Ambienti di lavoro. Particolare attenzione dovrà essere dedicata ad una corretta ed equilibrata organizzazione delle reti nei  territori, superando le attuali sperequazioni esistenti tra le dotazioni dei servizi nei 23 Ambiti Territoriali Sociali, i cui indici variano dal massimo di 29,9 al minimo di 5,3 (media regionale del 10.8). Rispetto al riassetto della rete ospedaliera nelle Marche, aldilà delle annunciate esigenze della Regione di rivedere quanto previsto nel vigente Piano sanitario, i principali nodi sono costituiti da:   • Precisa configurazione dell’Azienda ospedaliera Marche Nord, che allo stato attuale non sembra essere in possesso delle caratteristiche di presidio di  II livello e di Torrette come polo di riferimento regionale. • Superamento del concetto di Presidio unico di Area Vasta, che non trova cittadinanza nel DM 70/15. • Esubero di almeno 2 unità di presidi ospedalieri di primo livello, che diventerebbe di 4 unità nel caso in cui Marche Nord venisse correttamente inquadrato, e i suoi due presidi di Pesaro e Fano venissero quindi qualificati di I livello. • Collocazione nella rete ospedaliera dei presidi Salesi e INRCA di Fermo. • Individuazione degli Ospedali di zona disagiata: oltre a Pergola e Amandola, il nuovo PSSR prevede l’equiparazione di Cingoli, Cagli e Sassocorvaro, che però sono attualmente qualificati come Ospedali di comunità, ossia strutture territoriali e non ospedaliere. • Integrazione nella rete ospedaliera dei posti letto aggiuntivi di terapia intensiva (105) e dei posti trasformabili in semi intensiva (107) previsti dal DL Rilancio e dalla DGRM 751/2020. • Futuro (ed eventuali modalità di integrazione nella rete) dei progetti di edilizia ospedaliera relativi ai “nuovi” nosocomi Marche Nord, di Area Vasta 3 -  4 -  5. L’assistenza sociale nelle Marche in capo ai Comuni necessita di essere rafforzata perché ancora sottofinanziata rispetto alla media nazionale. La spesa sociale comunale pro-capite annua (€ 108) è del 13% più bassa, e molto differenziata su base territoriale (min. 59 €, max 169 €). Conta inoltre un livello medio di compartecipazione degli utenti più elevato (14.9% contro l’8.9% medio italiano). Significa che l’intervento sociale grava sulle famiglie per il 6.1% in più rispetto alla media nazionale. Nelle strutture residenziali per anziani, in particolare, questo è più che doppio rispetto alla  stessa media.   Oltre al  potenziamento degli interventi a favore della non autosufficienza, da garantire anche  attraverso il varo di una nuova legge nazionale, nelle Marche  ci sarebbe bisogno di rafforzare in particolare: il servizio di assistenza per l’area minori e l’area famiglia; l’assistenza domiciliata integrata per disabili; gli asili-nido e i servizi per l’infanzia. Nell’indispensabile affinamento del percorso dell’integrazione con l’area Sanità e quella Lavoro, sono cruciali le scelte sistemiche (coincidenza Ambiti territoriali Sociali e Distretti Sanitari) e organizzative (gestione associata dei Servizi) tese a migliorare le capacità di lettura dei bisogni emergenti (aree di povertà in aumento)  ad utilizzare in forma più equilibrata ed armonizzata le varie risorse, a cominciare da quelle di regime comunitario. L’assetto complessivo del welfare non può prescindere da un riordino complessivo del nostro sistema previdenziale che ha bisogno di recuperare margini di equità garantendo 1) il recupero del reale  potere d’acquisto degli attuali trattamenti; 2) flessibilità in uscita dal lavoro rispetto agli attuali limiti d’età, valutando anzianità contributiva (41 anni), tipologia di lavoro e valorizzazione delle attività di cura (maternità, assistenza familiari); 3) pensioni dignitose in prospettiva ai giovani di oggi, anche attraverso il rafforzamento dello strumento della previdenza complementare. Fondamentale puntare a questi miglioramenti in un contesto come quello marchigiano dove il valore delle pensioni di vecchiaia,  d’invalidità e ai superstiti (tot. 517.423), nell’anno 2019 è risultato rispettivamente del 10.2%, del 7.8% e del 9.6%  più basso della media italiana. Dal quadro delineato si evince come i necessari e robusti  investimenti sulle varie aree del welfare debbano costituire la base essenziale dell’infrastrutturazione sociale dello sviluppo sostenibile futuro per tutti i nostri territori.      
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07/04/2021 2. Lavoro e occupazione nelle Marche tra 2008 e 2020
  di Sauro Rossi, Segretario Generale Cisl Marche   L’andamento del mercato del lavoro Il mercato del lavoro marchigiano ha nel lavoro femminile e in quello giovanile due annose aree di criticità. Nell’annus horribilis che abbiamo alle spalle tali problematicità si sono acuite. Come appare chiaro dalla tavola 1, rispetto al 2019, le donne occupate sono diminuite di 8.443 unità  (-3%) e i Neet (giovani dai 15 ai 34 anni che non studiano e non lavorano) sono aumentati di 7.478 unità (+15,9%). Vi è però un fenomeno su cui ci si sofferma poco, che emerge prepotentemente: il calo degli occupati tra i lavoratori autonomi (- 13.030 unità, pari al - 8,2%).   Tavola 1 - Dati di sintesi sul mercato del lavoro nelle Marche Fonte: Istat                2020-2019              2020-2008 Valori assoluti Valori % Valori assoluti Valori % Occupati dipendenti -1,070 -0,2 -9,574 -2,0 Occupati indipendenti -13,030 -8,2 -20,846 -12,5 Occupati uomini -5,657 -1,6 -23,594 -6,3 Occupati donne -8,443 -3,0 -6,826 -2,4 Occupati tempo pieno -9,850 -1,9 -45,322 -8,1 Occupati part time -4,250 -3,8 14,902 15,9 Occupati totale -14,100 -2,2 -30,420 -4,7 Disoccupati uomini -3,377 12,7 8,003 52,9 Disoccupati donne -7,286 -21,6 9,662 57,8 Disoccupati totale -10,664 -17,720 17,665 55,458 Inattivi uomini 5,139 4,9 -6,855 -5,9 Inattivi donne 11,622 6,9 -21,138 -10,5 Inattivi totale 16,762 6,139 -27,991 -8,808 Forze lavoro uomini -9,035 -2,4 -15,592 -4,0 Forze lavoro donne -15,729 -5,0 2,837 1,0 Forze lavoro totali -24,763 -3,556 -12,754 -1,864 Neet 15-34 totali 7,478 15,9 5,625 11,5 Imprese attive -1188 -0,8 -14502 -9,1   Ciò rappresenta uno degli elementi più significativi della perdita di specificità del modello occupazionale marchigiano che, fino a qualche anno fa, aveva quel tipo di attività ben al di sopra della media nazionale. Se la conferma dei problemi per donne e giovani, l’incremento degli inattivi (+16.762) ed il crollo della forza lavoro (- 24.763) sono i dati salienti del confronto tra 2020 e 2019, il confronto tra 2020 e 2008 - anno  che segnò l’inizio della crisi economica “tradizionale” e che ha preceduto quelle indotte da “sisma” ed emergenza Covid-19 - offre altre chiavi di lettura per interpretare i profondi mutamenti del lavoro nelle Marche . Lo scorso anno, rispetto al 2008, si sono registrati 30.420 occupati in meno (per il 77.56% uomini), dei quali 20.846 erano lavoratori autonomi. Nel 2020  perciò, rispetto a 12 anni prima, c’erano al lavoro 23.594 uomini in meno (- 6.3%).  Anche le donne, occupate in questo lasso di tempo, sono diminuite, ma  solo del 2,4%,  pari a 6.825 unità in meno.  Va comunque tenuto presente che il divario di genere, seppur ridotto nei 12 anni considerati, nelle Marche continua ad essere consistente: per  tasso di attività, con un -14,8%, e per tasso di occupazione, con un -15,5%  di donne  rispetto agli uomini. E’ anche la struttura occupazionale ad essere cambiata in profondità. Nel 2020 vi sono  stati – 45.322 occupati a tempo pieno, + 14.902 part-time e + 17.720 disoccupati rispetto al 2008. La tabella 1 riporta i dati dell’osservatorio INPS, secondo il quale nel 2020 il 37,8% dei nuovi  contratti sono stati a tempo determinato; il 17% intermittenti; il 14% in somministrazione; il 13% a tempo indeterminato; il 5,8% apprendistato. La componente femminile ha prevalso su quella maschile solo nel lavoro stagionale (53,5% vs 46,5%) e l’ha sostanzialmente eguagliata sull’intermittente (50,1% vs 49,9%).   Tabella 1 - Nuovi rapporti di lavoro Fonte: Inps, Osservatorio 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 Valori assoluti T. indeterminato 20.996 41.273 23.247 19.276 22.499 24.689 18.145 T. determinato 65.160 61.165 65.497 87.798 94.267 78.870 52.641 Apprendistato 8.504 7.018 8.319 10.293 11.781 12.407 8.127 Stagionale 12.724 13.519 13.651 16.292 17.225 20.490 17.209 Somministrazione 24.362 28.425 33.168 41.851 44.265 29.481 19.570 Intermittente 12.684 9.846 10.091 31.671 34.901 36.470 23.714 Totale 144.430 161.246 153.973 207.181 224.938 202.407 139.406 Percentuale T. indeterminato 14,5 25,6 15,1 9,3 10 12,2 13 T. determinato 45,1 37,9 42,5 42,4 41,9 39 37,8 Apprendistato 5,9 4,4 5,4 5 5,2 6,1 5,8 Stagionale 8,8 8,4 8,9 7,9 7,7 10,1 12,3 Somministrazione 16,9 17,6 21,5 20,2 19,7 14,6 14 Intermittente 8,8 6,1 6,6 15,3 15,5 18 17 Totale 100 100 100 100 100 100 100   La tabella 2 mostra il netto calo delle imprese attive (-14.502) nel 2020 rispetto al 2009. Le diminuzioni di assoluto rilievo si registrano in agricoltura (- 8.582), costruzioni (- 4.233), commercio (- 3.946) ed attività manifatturiere (- 3.079); mentre segni di espansione vi sono per noleggio e agenzie di viaggio (+ 1.332), attività immobiliari (+ 1.077) ed attività professionali (+ 1.020).   Tabella 2 - Imprese attive per settore di attività (Ateco 2007)    2020-2019 2020-2009 Valori assoluti % Valori assoluti % A - Agricoltura, silvicoltura e pesca -577 -2,2 -8.582 -25,3 B - Estrazione di minerali da cave e miniere -1 -1,3 -31 -28,7 C - Attività manifatturiere -296 -1,6 -3.079 -14,4 D - Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata 5 1,1 344 262,6 E - Fornitura di acqua - Reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento 3 1,0 41 16,1 F - Costruzioni -94 -0,5 -4.233 -17,7 G - Commercio all'ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli -558 -1,6 -3.946 -10,3 H - Trasporto e magazzinaggio -50 -1,3 -985 -21,0 I - Attività dei servizi alloggio e ristorazione 74 0,8 955 10,7 J - Servizi di informazione e comunicazione 43 1,5 536 22,5 K - Attività finanziarie e assicurative 3 0,1 195 6,6 L - Attività immobiliari 139 1,9 1.077 17,3 M - Attività professionali, scientifiche e tecniche 47 0,9 1.020 23,3 N - Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese 89 2,2 1.332 46,2 O - Amministrazione pubblica e difesa - Assicurazione sociale obbligatoria 0   3   P - Istruzione 26 4,6 205 53,0 Q - Sanità e assistenza sociale 1 0,1 278 46,2 R - Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento -10 -0,4 418 22,4 S - Altre attività di servizi -25 -0,4 236 3,5 T - Attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico... -1   0   U - Organizzazioni ed organismi extraterritoriali 0   0   X - Imprese non classificate -6 -20,7 -286 -92,6 TOTALE Attività Economiche -1.188 -0,8 -14.502 -9,1   Nel lungo periodo, in un mercato del lavoro che invecchia, il tasso di attività per la fascia di età 55-64 anni cresce di circa il 24%, la situazione relativa ai giovani conferma tutta la propria drammaticità. La tabella 3 mostra che tra 2008 e 2020 il tasso di attività in età compresa tra i  18-29 anni è calato dell’8,7% (- 10,3% uomini e – 7,4% donne), quello di occupazione del 13,2%, (- 14,3% uomini e - 12,8% donne). Nel contempo è salito quello di disoccupazione (+10,5%) e quello di inattività (+8,7%),si evidenzia, inoltre,  che le donne mostrano più costanza nella ricerca di lavoro.       Altro elemento particolarmente critico è la crescita esponenziale del cosiddetto part-time involontario tra 2004 e 2019; crescita che comunque vede le Marche leggermente al di sotto dell’Emilia Romagna (- 0,5%) e dell’Italia (- 1,7%) ciò che colpisce però è la fortissima disuguaglianza di genere, perché il fenomeno riguarda in modo particolare l’occupazione femminile. Nella nostra regione le donne in part-time aumentano del 12,1%,  mentre gli uomini soltanto del 3,3% (tabella 4, in appendice).   Occupazione: andamenti settoriali Il mercato del lavoro nelle Marche vede nelle questioni giovanile e femminile le “storiche” aree di criticità. Questo dipende dalla struttura del sistema produttivo incentrato su micro e piccole aziende operanti in settori maturi, che non trovano più nei distretti tradizionali il fattore territoriale competitivo  ma anche da un sistema di servizi meno sviluppato nelle professioni più avanzate. In merito alla realtà manifatturiera regionale e ai relativi approfondimenti  occupazionali  è possibile consultare  il Rapporto Cisl Marche sulla Competitività del 1 marzo 2021. Qui  vogliamo ricordare che la progressiva perdita di settori a prevalente forza lavoro femminile ha comportato nel tempo una forte differenziazione di genere: nel 2019 il 35% dell’occupazione totale maschile era impegnato nella manifattura, solo il 20%  era femminile. La restante quota di occupazione femminile è pressoché totalmente impegnate nei servizi (il 77,3% contro il 51,3% dei maschi), benché complessivamente il comparto abbia una capacità occupazionale inferiore all’Emilia Romagna e all’area euro (tabella 5, in appendice). Della quota femminile il 28,6% è impegnata nel settore del commercio, alloggio e ristorazione, attività di servizio domestico; il 37,8% nei settori ad alta intensità di conoscenza (contro rispettivamente il 19% ed il 23,8% dei maschi). Va evidenziato però  che nei settori commercio e servizi è cresciuta dal 2008 del 4,6%,  mentre in quelli ad alta conoscenza soltanto del 2,7%. Per approfondire l’analisi sui servizi, merita attenzione il comparto della salute e dell’assistenza sociale. Nella tabella 6 è evidente lo scarto negativo dell’occupazione, in questi settori,   tra Italia e Area euro. Le Marche stanno ancor peggio. Il divario arriva al 4% ed è evidente la differenziazione  di genere (occupazione femminile pari al 13%, quella maschile al 3.4%).   Tabella 6 - Salute umana e attività di assistenza sociale (fonte: Eurostat) (Percentage of total employment) 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 Euro area 9,7 10,2 10,6 10,8 11,1 11,2 11,3 11,4 11,5 11,5 11,5 11,7 Germany 11,3 11,8 12,2 12,3 12,5 12,3 12,5 12,7 12,8 12,9 13,0 13,3 Spain 6,3 7,1 7,5 7,9 8,0 8,0 8,2 8,1 8,2 8,3 8,4 8,5 France 12,1 12,5 13,0 13,1 13,4 14,0 14,5 14,7 14,6 14,8 14,6 14,6 Italy 7,1 7,2 7,3 7,5 7,9 8,0 8,1 8,0 8,1 8,1 8,2 8,2 Emilia-Romagna 7,2 7,6 7,4 7,4 7,7 8,0 8,2 8,7 8,4 7,9 7,9 8,3 Centro (IT) 6,7 6,8 7,1 7,4 8,1 7,5 7,4 7,6 7,5 8,0 8,1 8,3 Marche 6,0 6,2 6,5 6,4 7,5 7,2 6,9 6,7 6,9 8,0 7,6 7,7 Marche maschi 2,5 2,8 3,2 3,4 4,1 3,6 3,1 3,5 3,6 4,2 3,6 3,4 Marche femmine 10,6 10,7 10,8 10,3 11,9 11,8 11,7 10,8 11,2 13,0 12,7 13,0   Per completare il quadro dei settori economici, da una breve analisi dell’occupazione in agricoltura, che in Eurostat comprende anche silvicoltura, pesca, estrazione mineraria e cava, emerge  che dal 2008 al 2019 il numero degli addetti è  cresciuto del 0,9% ( vedi tabella 7 in appendice). Un dato significativo soprattutto perché legato  a produzioni di qualità,  ma che rimane però sottodimensionato rispetto all’Italia (- 1,2%) e all’Emilia Romagna (- 0,8%). Le criticità della struttura economico-produttiva della regione trova ulteriore conferma nel tasso di occupazione per titolo di studio ( vedi tabella 8 in appendice). Il calo negli anni riguarda tutti i titoli di studio  fino al diploma  e nel 2020 anche i laureati, che peraltro nelle Marche presentano un dato al di sotto dell’Emilia Romagna (- 4,9%) e del Centro (- 0,9%). I dati Eurostat relativi al tasso di occupazione sulla base degli anni trascorsi dal conseguimento del titolo di studio più elevato (tavola 2) evidenziano come nelle Marche  la maggiore difficoltà  è quella di trovare lavoro nel primo periodo (da 1 a 3 anni), sia per il livello secondario che per quello terziario, rispetto all’area euro e all’Emilia Romagna. Successivamente i tassi tendono ad allinearsi, soprattutto per la fascia superiore.   Tavola 2 Tassi di occupazione dei giovani non iscritti all'istruzione e alla formazione, per livello di istruzione. - Anni dal completamento del livello di istruzione più elevato (in %pop. 15-34 anni) Istruzione secondaria superiore e post secondaria (livelli 3 e 4) Istruzione terziaria (livelli 5-8) da 1 a 3 da 3 a 5 oltre 5 da 1 a 3 da 3 a 5 oltre 5 Euro area 72,6 78,7 78,9 83,8 87,3 87,2 Italy 50,5 67,8 68,5 64,9 81,2 82,5 Emilia-Romagna 68,7 78,1 79,8 80,7 87,0 87,6 Centro (IT) 49,4 71,6 71,9 67,7 83,1 84,4 Marche 55,8 77,9 78,7 69,0 87,2 89,1   D’altra parte, le difficoltà di assorbimento della forza lavoro qualificata è esemplificata dal tasso di occupati sovraistruiti, che per l’ISTAT “rappresenta la percentuale di occupati che possiedono un titolo di studio superiore a quello maggiormente posseduto per svolgere quella professione sul totale degli occupati”, fenomeno che colpisce soprattutto la quota femminile (tavola3). Così come l’indice di mobilità dei laureati residenti nella regione mostra la perdita netta della possibile forza lavoro altamente qualificata.     Occupazione e retribuzioni Il quadro generale sul mercato del lavoro nelle Marche non può non avere effetti anche sulle retribuzioni. Prendendo a riferimento la retribuzione media annua dei lavoratori dipendenti nel 2018, lo scarto in negativo tra le Marche e l’Emilia Romagna è di € 4.300 e con l’Italia di € 2.464 (tabella 9, in appendice).Dal punto di vista percentuale, la regione registra una differenza : del - 18,3% con l’Emilia Romagna; del - 6,8% con la Toscana; del  - 8,6% con il Centro e  del - 11,4% con l’Italia. Particolarmente accentuate sono poi le differenze di genere delle retribuzioni medie (tavola 4). Rispetto alle media regionale, i dipendenti maschi percepiscono mediamente € 3.140 in più  (17,1%), mentre le dipendenti femmine € 3.939 in meno (- 21,1%). La retribuzione lorda oraria in media aritmetica – che ovviamente nasconde le differenze – rileva comunque una differenza crescente al crescere del livello di studio, pur rimanendo le Marche sempre al di sotto delle altre aree (tavola 5).                 Tavola 5 – Retribuzione lorda oraria per ora retribuita delle posizioni lavorative dipendenti in euro per titolo di studio (media).     Anno 2017 nessuno, lic. elementare e media diploma laurea e post-laurea     Italia 12,12 14,32 19,18     Emilia-Romagna 12,67 14,78 18,32     Centro 12,10 14,15 19,27     Marche 11,72 13,13 15,71     Differenze rispetto alle Marche (€)     Italia -0,40 -1,19 -3,47     Emilia-Romagna -0,95 -1,65 -2,61     Centro -0,38 -1,02 -3,56                     Le proposte della Cisl Marche per il mercato del lavoro L’analisi prospettica dei dati evidenzia un quadro fluido per cui, nonostante la permanenza di alcune costanti, per la sua evoluzione o involuzione saranno determinanti le scelte relative alle politiche attive del lavoro e alle politiche dell’istruzione e della formazione da mettere in atto in maniera integrata e coerente con la visione di sviluppo per la nostra regione. In particolare vogliamo soffermarci  sulle politiche per la formazione perché riteniamo siano centrali nell’era dell’innovazione tecnologica, in cui va posta attenzione alla qualità non solo dei processi di digitalizzazione in atto nel Mercato del Lavoro, ma anche delle relazioni che alimentano la partecipazione e che sono alla base della nuova concezione di cura di sé, della comunità, dell’ambiente. Proprio sull’apprendimento permanente, sul consolidamento e l’acquisizione delle competenze tecnologiche, sociali e cooperative, sulla lotta alle disuguaglianze causate dalla dispersione scolastica e dalla povertà educativa, si deve fondare il nuovo paradigma del lavoro di qualità e dello sviluppo socialmente sostenibile. Per assecondare l’ammodernamento dei sistemi sociali e produttivi è fondamentale orientare il Mercato del Lavoro in modo nuovo e intelligente. In quest’ottica diventa centrale l’orientamento dei giovani e degli adulti nelle transizioni tra scuola secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo grado, tra scuola e lavoro, tra lavoro e lavoro, con una particolare attenzione alle nuove vulnerabilità sociali e lavorative. Orientare alla formazione di qualità significa innescare processi di autoconsapevolezza virtuosi e significa aumentare nei singoli e nella collettività la propensione all’innovazione e all’intrapresa. Un sistema efficace di orientamento che veda insieme attori istituzionali e sociali può rivelarsi decisivo anche per il potenziamento dei percorsi di studio relativi alle STEM, cioè alle discipline scientifico-tecnologiche, fondamentali per lo sviluppo e l’innovazione produttiva, a cui accede un numero ancora troppo esiguo di studenti, in particolare di studentesse, marchigiani. L’incentivazione delle STEM è una strada da percorrere con convinzione poiché contribuisce a combattere il fenomeno dei Neet e a colmare il divario di genere relativo all’ingresso nel Mercato del Lavoro ma anche alla qualità del lavoro stesso in termini di durata, di posizioni e di retribuzione. Per attraversare e guidare il cambiamento in atto nel mondo del lavoro, in particolare nei settori manifatturiero e dei servizi, riteniamo di capitale importanza qualificare e incentivare le esperienze di Alternanza Scuola Lavoro, potenziare e arricchire l’offerta dell’istruzione e formazione tecnica superiore (ITS e IFTS), dell’istruzione e formazione professionale, delle formazione permanente e della formazione continua per i lavoratori e valorizzare l’apprendistato nei suo tre livelli. L’analisi dei dati infine ci conferma che le politiche del lavoro oggi nel nostro territorio devono essere più che mai connesse e integrate alle politiche di welfare. Indicatore essenziale del lavoro di qualità è anche l’armonizzazione del rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro ottenuta attraverso l’innovazione dei processi organizzativi aziendali e l’integrazione tra welfare territoriale, garantito dalla rete dei servizi pubblici e privati, e welfare contrattuale aziendale coerente ed efficace rispetto ai bisogni rilevati favorendo la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Nella società complessa il tema della conciliazione è centrale per la vita delle persone; occorre affrontarlo non solo in termini di strumenti di conciliazione ma cambiando il concetto stesso di conciliazione, non più prerogativa esclusiva per le donne; solo fondando la conciliazione sulla condivisione si possono superare separatezze che perpetuano stereotipi e discriminazioni. Questo tempo ci ha mostrato sul piano fattuale come possano incidere nel rapporto tra tempi di vita e tempi di lavoro anche le innovazioni tecnologiche e quale possa essere il loro impatto in termini di organizzazione del lavoro. Pensiamo solo alla diffusione del lavoro agile e alla necessità, affinché sia efficace ed efficiente in termini di qualità e di produttività, di investire non solo sulla strumentazione ma soprattutto sulla formazione di nuove competenze e di una cultura organizzativa del lavoro per obiettivi, nella consapevolezza dell’importanza centrale delle relazioni cooperative che vanno oltremodo curate per non amplificare solitudini e nuove forme di ghettizzazione lavorativa. Torniamo alla centralità della sfida formativa e relazionale che solo insieme possiamo vincere decidendo di investire sulle capacità generative e trasformative delle persone e delle nostre comunità.    
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01/03/2021 1. Competitività del sistema produttivo marchigiano: scenari e proposte
di Sauro Rossi, Segretario Generale Cisl Marche L’economia marchigiana presentava livelli di sofferenza ben prima della crisi attuale. Il Pil per abitante nel 2018 faceva registrare un meno 9% rispetto alla media UE a 28 ed un meno 11% rispetto alle regioni del centro nel loro insieme; un trend discendente, che arriva a segnare una riduzione del 9% dal 2010 (vedi tabella 1 in appendice).  Non sembra inutile notare che se la UE, nella nuova programmazione 2021-2027, avesse lasciati invariati i parametri di classificazione delle regioni europee, per l’allocazione delle risorse comunitarie, le Marche avrebbero rischiato comunque di non essere inserite tra quelle più avanzate, arrivando ad avere un PIL pro capite medio al limite di regolamento[1]. Gli indicatori provinciali, poi, accentuano la negatività, alla quale sembra resistere meglio delle altre l’area anconetana, forse perché caratterizzata da una maggiore diversificazione produttiva. Il peso delle esportazioni sul PIL, dopo il brusco calo tra 2007 e 2009, ha fatto registrare un andamento positivo fino al 2014, per poi calare molto rispetto a quanto accadeva in Italia, nel Centro e in Regioni come Emilia Romagna e Toscana. (vedi grafico 1 in appendice)  (vedi grafico 2 in appendice) Gli investimenti fissi lordi sul PIL sono da tempo attestati su livelli molto bassi. La caduta è iniziata nel 2012 ed ha portato le Marche, nel 2018, ad una differenza, in negativo, di 2,2 punti percentuali rispetto alla media nazionale e ben 4% in meno nei confronti dell’Emilia Romagna. Il rapporto investimenti/PIL, che nel 2018 era pari al 16,08% risultava inferiore del 3,7% al valore pre-crisi 2007 e del 5,6% rispetto alla punta massima regionale del 2001 (grafico 3). La spesa totale in R&S, che sempre nel 2018, secondo Eurostat, ammontava all’ 1.06% del PIL, era per il 64.48% di fonte privata e registrava un - 0.36% rispetto alla media nazionale risultava ben al di sotto di quella delle regioni del centro-nord, che peraltro segnavano un significativo gap rispetto alla UE (v. tabella 2 in appendice). Sul piano produttivo, quella marchigiana è ancora una regione con una evidente caratterizzazione manifatturiera. Gli occupati in questo ambito sono attestati sul 24.7%, 9.2 percentuali in più rispetto alla media italiana nel 2017, ultimo dato disponibile. Si tratta però di un tipo di occupazione legato prevalentemente a settori di basso e medio-basso livello tecnologico che hanno una densità ben maggiore rispetto all’Italia (21.6% contro 12.2% nel 2019). Nella manifattura di alta e medio-alta tecnologia la regione registra invece punte di eccellenza, arrivando nel 2019 al 7% dell’occupazione totale, rispetto al 6,3% dell’Italia: va notato, però, che rispetto al 2008 le Marche perdono lo 0,7%  (v. tabella 3a in appendice). Inoltre, nei servizi si conferma la debolezza del sistema, poiché negli ambiti ad alta intensità di conoscenza l’occupazione si attesta su valori molto bassi: 30% nel 2019, contro il 34,8% dell’Italia. Considerando poi nel loro insieme i settori ad alta tecnologia ed i servizi ad alta intensità di conoscenza, il divario risulta notevole: a fronte del 2,2% delle Marche, l’Italia registra un 3,7% e il Centro un 4,9%, dato superiore anche ai dati UE (v. tabella 3b in appendice). Altro elemento critico è la insoddisfacente capacità di sviluppo dei servizi alle imprese: il divario si mantiene costante nel tempo e nel 2016, ultimo anno disponibile, segna un meno 2,10% rispetto all’Italia ed un meno 3.38% con le regioni del Centro (v. tabella 4 in appendice). Più in generale, a preoccupare è il basso livello d’istruzione tra gli occupati. Le percentuali ricavate dai valori assoluti forniti dall’Istat (tabella 5) mostrano che, a fronte di un netto miglioramento dei livelli di istruzione rispetto al 2004, ad eccezione della fascia dei diplomati che appare più stabile, le Marche presentano ancora forti criticità. Nel 2019 gli occupati con istruzione elementare e media inferiore erano il 3% in più rispetto al Centro e all’Emilia Romagna, benché in linea con il dato nazionale; contemporaneamente però i laureati erano rispettivamente di 3,4 e di 1,2 punti percentuali in meno (tabella 5).   Tabella 5 – Occupati per titolo di studio (%) Fonte: Istat   2004 2019 licenza elementare, nessun titolo licenza media diploma laurea e post-laurea licenza elementare, nessun titolo licenza media diploma laurea e post-laurea Italia 9,3 33,3 43,2 14,1 2,9 27,5 46,2 23,4 Emilia R. 9,4 31,9 44,2 14,5 2,1 25,2 48,0 24,7 Centro 7,9 30,1 45,8 16,2 2,8 24,6 45,8 26,9 Toscana 10,4 34,2 41,5 13,9 3,5 27,3 45,6 23,6 Marche 9,1 32,2 45,3 13,5 2,4 28,0 46,1 23,5   Inoltre, il livello di partecipazione alla formazione continua nel 2019 era appena al 7,7% nella fascia di età 25-64 anni. Le caratteristiche del sistema manifatturiero marchigiano influenzano ovviamente anche indici puramente economici come quelli legati al fatturato e al valore aggiunto [2] Le quote di fatturato e di valore aggiunto della manifattura rispetto al totale dell’economia regionale sono, nel decennio 2008-2018, tra il 38 ed il 42%, in linea con una regione altrettanto manifatturiera come l’Emilia Romagna e ben superiori ai valori della Toscana (v. tabella 6 in appendice). Se però si confrontano gli stessi indicatori in cifre assolute, i trend sono molto differenti: ciò che colpisce, al di là dei volumi, sono le dinamiche di crescita di entrambe le regioni (meno accentuata quella della Toscana), rispetto alla sostanziale staticità delle Marche (grafici 4 e 5).       A conferma di un assetto che ha il baricentro in produzioni a basso livello tecnologico il valore aggiunto nei settori a medio-alta tecnologia si attesta sul 23%, con un - 9.4% rispetto all’Italia e un - 20.3% rispetto all’Emilia Romagna (tabella  7).   Tabella 7 - Percentuale di valore aggiunto delle imprese MHT rispetto al valore aggiunto manifatturiero   2012 2013 2014 2015 2016 2017 Italia 30,7 31,9 32,1 32,1 32,2 32,4 Nord-Est 35,4 36,4 36,1 36,5 36,5 36,6 Centro 20,8 21,6 22,1 20,6 20,9 20,6 Emilia-Romagna 39,9 41,9 42,2 43,1 44,1 43,3 Toscana 24,3 24,9 25,4 22,8 21,4 20,9 Marche 21,5 21,5 22,3 23,5 24,2 23,0 Fonte: ISTAT, SDGs 9   Così come basso rimane il tasso di innovazione. Nel 2018 solo il 42.2% delle imprese con più di 10 addetti ha introdotto nel triennio innovazione di prodotto e/o processo, con uno scarto negativo del 7.5% rispetto all’Italia e de 13.6% rispetto all’Emilia Romagna; anche la spesa per addetto segnala la differenza, rispettivamente di 2.600 e di 4.200 euro  (v. tabella 8 in appendice). Indicativo è anche il dato relativo alla propensione alla brevettazione, anche se la serie arriva soltanto al 2016. Le Marche hanno migliorato nel periodo le proprie performances, ma rimane ancora lontana da quelle di Emilia Romagna e Toscana, benché meglio del Centro e  del dato nazionale (v. tabella 9 in appendice). Altro elemento che condiziona la competitività del sistema è il perdurante “nanismo” delle imprese manifatturiere (tabella 10). Nel 2018, il 66,2% aveva meno di 10 addetti, mentre ancora poche risultavano quelle medie (29,7%) e medio-grandi (3,7%). L’occupazione si concentra nelle aziende con meno di 50 dipendenti (60,1% contro il 50,4 dell’Italia ed il 44,8 dell’Emilia Romagna) ed in particolare nelle micro e piccole aziende (20,4% contro il 18,3 dell’Italia ed il 14,1 dell’Emilia Romagna).   Tabella 10 numero imprese attive 2018 numero addetti delle imprese attive (valori medi annui) 2018 0-9 10-49 50-249 250 e più 0-9 10-49 50-249 250 e più Italia 69,1 26,4 3,9 0,6 18,3 32,1 24,3 25,3 Nord-est 61,7 32,1 5,4 0,9 14,3 32,3 27,1 26,4 Emilia-Romagna 62,3 31,7 5,0 1,0 14,1 30,7 25,4 29,8 Centro 72,0 25,0 2,7 0,3 23,6 35,8 19,9 20,8 Toscana 71,5 25,9 2,3 0,3 27,3 40,2 18,6 13,9 Marche 66,2 29,7 3,7 0,4 20,4 39,7 24,0 15,8 Fonte: Istat   È partendo da questi pochi succinti dati che in termini di rilancio della competitività bisognerebbe dare priorità assoluta ad interventi volti a favorire innovazioni di prodotto e di processo in produzioni a più elevata base tecnologica e a basso impatto ambientale, sostenendo l’aggregazione d’impresa e le reti di filiera, impostando un massiccio piano di innalzamento delle conoscenze degli addetti e favorendo l’immissione di giovani e donne nel mercato del lavoro.     ————————————— [1] Nella programmazione 2014-2020 le regioni in transizione avevano il PIL pro capite medio compreso tra il 75% ed il 90% della media UE, mentre quelle più sviluppate era superiore al 90%. Nella nuova sono in transizione tutte le regioni con il PIL pro capite media compreso tra il 75% ed il 100% delle media UE. [2] Il valore aggiunto è calcolato “al costo dei fattori” (v. nota alla tabella 6)..  
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