Per il primo marzo la Cisl Marche organizza un seminario dal titolo “Welfare aziendale e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro". Tale iniziativa va nella direzione che la Cisl si è data di rafforzare le strategie contrattuali e i modelli organizzativi nei luoghi di lavoro e nei luoghi di vita, per essere più prossimi e vicini alle esigenze dei lavoratori, per adeguare le scelte politiche e i modelli organizzativi ai cambiamenti della società.
Il lavoro, vissuto come bene pubblico, può consentire alla società di progredire e di creare relazioni sociali, di generare nuovi patti di convivenza, affinché si superino particolarismi ed individualismi. Con la contrattazione la Cisl discute e concerta sugli interessi delle persone, sui loro desideri e sui loro bisogni, ricercando e proponendo soluzioni innovative.
La contrattazione sociale, nell'ottica di un superamento di un’azione meramente rivendicativa presso i tavoli istituzionali, cerca di costruire nuovi processi di governance partecipata che portino allo sviluppo del territorio, valorizzando, attraverso la fase di ascolto ed accompagnamento, le esigenze delle persone, aggregando ed organizzando la domanda sociale per proporre nuovi modelli dei servizi ed interventi qualificati ed efficaci. Ma ciò non è sufficiente. Occorre ripensare i modelli organizzativi del lavoro che permettano di per superare quegli ostacoli culturali, sociali, che impediscono l’effettiva parità di opportunità tra uomini e donne, tra persone di diverso genere e che generano discriminazione.
Spesso, per esempio, sentiamo parlare di gap retributivo. Ma che cosa è? Il divario retributivo di genere è la differenza tra il salario orario medio lordo degli uomini e quello delle donne nell’intera economia dell’Unione, espresso come percentuale del salario maschile. A livello europeo si è calcolato che mediamente 59 sono i giorni che una donna dovrebbe lavorare in più per guadagnare quanto un uomo. Rispetto agli uomini, le donne in Europa, in media, guadagnano circa il 18% in meno (per ora lavorata). Questa disparità si ripercuote, oltreché sulla carriera retributiva, su quella pensionistica.
Il divario retributivo di genere permane la causa delle discriminazioni dirette e/o indirette e delle modalità che caratterizzano la partecipazione al mercato del lavoro da parte di uomini e donne. Assumono, così, un significato rilevante la disuguaglianza di genere in differenti ambiti del mercato del lavoro, la diseguaglianze verticale nelle posizioni organizzative, la divisione disuguale del lavoro di cura e la concentrazione femminile in lavori “non standard”.
In Italia il gap retributivo è più lieve rispetto ad altri Paesi europei (6,5% rispetto alla media di 16,5% di altri), anche se nel nostro Paese la differenza delle retribuzioni tra i sessi ha registrato uno dei maggiori aumenti durante la crisi, oltre al fatto che le donne hanno subito maggiormente le espulsioni dal mercato del lavoro, spesso con l’arma del sottile ricatto, determinando maggiore precarietà e povertà, soprattutto nel famiglie monogenitoriali o ove chi lavora è solo un genitore.
Ancor di più, la discriminazione in Italia per il genere femminile è data dalla carenza di opportunità di accedere e permanere nel mercato del lavoro, nonostante spesso l’elevata formazione, dalla difficoltà di poter svolgere mansioni superiori, di accedere a percorsi di carriera. Le motivazioni di queste discriminazioni riguardano soprattutto la cura nei confronti di figli e di anziani specie non autosufficienti.
Esempi virtuosi: vi sono, datori di lavoro giovani che assumono donne in stato di gravidanza, perché altamente qualificate e specializzate, ma sono casi talmente rari che suscitano clamore e fanno notizia. Ma, è bene ribadirlo, il mercato del lavoro continua a penalizzare i giovani, anche le madri: le donne con un figlio hanno meno probabilità di lavorare di quelle con tre in ben 14 altri paesi europei. Da quanto esposto si evince che l’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro sono ancora oggi faticosi.
In realtà studi economici testimoniano che la maggior presenza della componente femminile nel mercato del lavoro, si tradurrebbe in circa 7 punti di PIL in più per l’economia: il lavoro delle donne crea altro lavoro ed è un indicatore e fattore di sviluppo. Da aggiungere che dal punto di vista sociale la perdita del lavoro comporta problemi di vulnerabilità familiare e sociale e l’aumento delle povertà.
Pertanto occorre ripensare le politiche, le politiche attive del lavoro, le politiche socio-assistenziali e socio-familiari, le politiche di conciliazione, la cui risposta non può essere relegata all’utilizzo dei fondi europei per attivare voucher (si veda Regione Marche), ma ad una programmazione più efficace degli interventi e dei servizi.
Tra l’altro proprio le mutate condizioni economiche e sociali portano il welfare a porre al centro della propria politica le persone e le famiglie, favorendo relazioni tra i diversi attori, promuovendo la dimensione territoriale delle risposte ai bisogni e l’empowerment dei cittadini e dei corpi intermedi.
Siamo convinti che per rilanciare e sostenere l’occupazione, in particolare quella femminile, oltre a rafforzare le politiche attive per il lavoro, occorre creare un nuovo equilibrio tra uomini e donne, tra famiglia e lavoro, tra spazio privato e pubblico, mettendo al centro le politiche per la famiglia, incentivare la contrattazione di secondo livello territoriale e aziendale, che può favorire la possibilità di contrattare in azienda forme di accordi sulla conciliazione, percorsi formativi per il rientro dopo un periodo di congedo, sostenere le imprese che investono sulla flessibilità e sulla conciliazione. Queste sono misure per favorire la ricollocazione delle donne nel mercato del lavoro.
Tutto ciò soprattutto in questa fase in cui il mercato del lavoro è in evoluzione e si dovranno possedere una diversa formazione professionale, altamente specializzata, sperimentare un’ulteriore organizzazione del lavoro, che vedrà tutti noi coinvolti: donne e uomini, giovani e adulti.