In Italia il problema delle molestie sessuali sul lavoro esiste e un'approfondita discussione su questo aspetto della "violenza" non vi era stata prima del clamore sollevato dal caso del regista Weinstein. I tentativi di squarciare il velo sui protagonisti e sulle "vittime" sul lavoro non sono ancora arrivati al fulcro del problema, se non con poche e valide opinioni centrate sull'argomento. Proviamo a fare un po' di chiarezza e a riflettere insieme su un fenomeno complesso dalle molteplici sfaccettature e implicazioni.
Quali sono i comportamenti che possiamo definire molestie sessuali nell'ambito dell'ambiente di lavoro?
Il “Codice delle pari opportunità” D.Lgs.n.198/2006 all'art. 26 definisce molestie “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Sono tali i comportamenti indesiderati di tipo sessuale manifestati in modo fisico o verbale; la visione della legge è quella di chi subisce.
Molte sono le manifestazioni esternate con commenti provocatori che vengono in massima parte tollerati; ma è proprio in un luogo di lavoro che diventa di per sé insopportabile per una donna. Molte dipendenti non ne parlano e non denunciano, il primo motivo è la paura fondata di perdere il lavoro, ma anche di essere giudicate.
Le molestie sessuali in gran parte avvengono in luoghi chiusi e senza testimoni; questo le fa sì che sia molto difficile poter dimostrare i fatti con le prove quanto meno presuntive. Un passo avanti ha fatto la Cassazione che ha sancito la possibilità di usare a scopi difensivi registrazioni audio, mail, chat e Sms.
Linda Laura Sabbadini ritiene che nell'ambito di lavoro le donne maggiormente esposte ai ricatti sessuali sono "ai piani alti degli uffici", le donne quadri o dirigenti d’azienda, queste infatti sono nella posizione di chi avanza nella carriera e il risultato dipende dal giudizio dei capi uomini.
La ricerca dell'Istat ha rilevato che il 99% dei ricatti sessuali non viene segnalato alle forze dell’ordine; nell’81,7% la vittima non ne ha parlato con nessuno sul posto di lavoro e il 18,3% ha raccontato la sua esperienza.
Sempre l'Istat ha rilevato che il 14,3% delle donne intervistate lavorava in attività immobiliari e informatiche, il 10,3% nelle attività manifatturiere, il 18% in professioni tecniche, il 7,8% in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione.
Per Tatiana Biagioni, già presidente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Milano, le molestie sono un fenomeno molto più diffuso di quanto non appaia dalla rare statistiche a riguardo, perché «molti comportamenti che per legge sono considerati molestie vengono liquidati in Italia come semplici “battute”, che le impiegate continuano a subire in silenzio». In un rapporto gerarchico - il superiore e la dipendente - l'ironia diventa presto un esercizio di potere; infatti la donna difficilmente al superiore può rispondere per le "rime".
Un'autorevole e seguita impostazione è quella di considerare la molestia sessuale sul lavoro una dimostrazione e un abuso di potere. Da questa visione ne discende che le molestie sessuali sono il risultato della cultura patriarcale; in effetti nei nostri sistemi la maggioranza del potere è ancora nelle mani degli uomini, ne discende che la mascolinità e il potere sono strettamente legati. Questo significa che la nostra cultura occidentale ha l'assoluta necessità di evolversi in un'ottica di relazioni equilibrate tra uomini e donne, dove la società maschilista abbandoni la propria superiorità che da sola giustifica l'oppressione delle donne.