Il 28 giugno u.s. il Parlamento ha approvato la legge sulle quote rosa nei consigli di amministrazione delle aziende quotate e delle società a partecipazione pubblica: la legge bipartisan approvata dal Parlamento prescrive che a partire dal 2012 i Cda delle aziende quotate e delle società a partecipazione pubblica dovranno essere composti per un quinto da donne. Dal 2015 la quota rosa dovrà salire a un terzo. "L’approvazione delle “quote rosa” nei cda è, senza mezzi termini, una “svolta epocale”". Lo dichiara in una nota Liliana Ocmin, Segretario Confederale della Cisl. "Un passo importante- continua Ocmin-che ci pone sullo stesso piano di altri paesi europei e ci permetterà di ridurre sensibilmente le diverse forme di discriminazione delle donne sul lavoro, nella politica e nella società tutta. Una legge che la Cisl ha sostenuto con forza rimarcando la necessità di un approccio graduale alla riforma del sistema e che ha permesso lo sblocco di un percorso parlamentare molto delicato. Una legge che rappresenta non solo la necessità di un riequilibrio numerico tra i generi ma, soprattutto in questa fase, un’opportunità per le donne, per le aziende, per l’intero Paese”.
Il punto di vista di CRISTIANA ILARI Segretario Provinciale Cisl Ancona
Si tratta di un provvedimento positivo, che aspettavamo e auspicavamo e per cui la Cisl si è adoperata. Da tempo rileviamo la necessità di affrontare il tema del ruolo, delle funzioni lavorative e della carriera delle donne, non certo in termini rivendicativi, piuttosto nell’ottica di uno sviluppo che metta il nostro Paese (e il nostro territorio marchigiano con il suo tessuto produttivo incentrato su piccole e medie imprese ma anche con realtà aziendali di più ampie dimensioni) in condizioni di maggiore competitività a livello economico: più donne nelle posizioni di top management delle aziende, nonché in ruoli decisionali in campo politico, nelle amministrazioni, nel Sindacato, nei vari settori lavorativi, nelle Università, rappresentano un’opportunità di crescita.
Questa legge va ora implementata con la vigilanza di tutti, poiché, pur non risolvendo in toto il problema, può essere un utile apripista, anche dal punto di culturale, per tentare di rimuovere il “Soffitto di cristallo”, espressione icastica che rende bene il concetto: all’apparenza nessun ostacolo ma la barriera c’è ed è resistente; più le donne cercano di salire in campo lavorativo, più incontrano ostacoli.
Ecco perché si è reso necessario attivare le cosiddette azioni positive (e le quote sono le più evidenti) per favorire temporaneamente le donne in modo da rendere effettivo l’accesso alle pari opportunità: certo, riguardo alle quote discriminare per uguagliare può sembrare paradossale, ma è una misura necessaria temporanea, una sorta di azione di sfondamento che poi deve procedere di pari passo con un’azione sociale e una disseminazione culturale così da superare la necessità. E realisticamente oggi la necessità in Italia è forte e cogente. A parità di titoli le donne sono meno occupate, più precarie e meno pagate degli uomini. Secondo una ricerca congiunta Bocconi e HayGroop del 2009 (una delle ultime ricerche disponibili sul tema e in due anni la situazione non è certo migliorata) le donne italiane guadagnano circa il 25% in meno degli uomini e occupano ancora posizioni svantaggiate rispetto ai loro colleghi. Le dirigenti di prima fascia sono soltanto il 13%, poche sono le donne che arrivano ai vertici decisionali: non è una lotta per il potere fine a se stessa; è una questione di giustizia ma anche un’opportunità di rilancio e sviluppo considerate le competenze di genere delle donne; in più c’è un dato culturale e organizzativo insieme: finché non siederanno nelle “stanze dei bottoni” difficilmente potranno cambiare le regole della conciliazione e della organizzazione del lavoro, finché a stabilire l’agenda saranno solo uomini che non si confrontano con donne, una possibilità per tutti di cambiare le regole non ci sarà: anche per gli uomini che oggi sempre di più sono attenti all’educazione dei figli, se passa una certa cultura e una certa organizzazione del lavoro, tornerà utile una proposta come quella femminile (meno rituali, tempi efficientati e contingentati, lavoro anche a distanza, versatilità, senso pratico, rispetto degli orari). Lasciamo da parte, quindi, i nostri endemici “sensi di colpa” e quel “non sentirsi mai abbastanza brave”, quel “dover sempre dimostrare di esserselo meritato e di essere all’altezza” che ci caratterizza: i dati ci dicono che mediamente ce lo meritiamo, eccome, visto che studiamo di più e con risultati brillanti, ma che poi impattiamo con una cultura del lavoro, dell’organizzazione, del welfare che ci penalizza.
Il cammino bipartisan della legge è anche un esempio di lavoro comune, di là degli schieramenti politici e la possibilità di rompere il “soffitto di cristallo” è proprio legata alla capacità delle donne di fare RETE e di costruire un sistema di relazioni che alla fine risulti una risorsa per tutti.
Il commento di SABRINA PACE - Responsabile Coordinamento Donne CISL Ancona:
Finalmente i meriti di tante donne vengono riconosciuti e di questo si gioveranno proprio le aziende per prime. Finché non ci sarà anche una visione "femminile" nell' organizzazione della società, i principi delle pari opportunità non potranno mai essere pienamente rispettati. Il contributo femminile sarà, secondo me, evidente soprattutto per ciò che riguarda l'organizzazione del lavoro, l'ottimizzazione dei tempi e la conciliazione dei mondi famiglia/lavoro. Faccio parte da più di 5 anni del Coordinamente Donne della CISL, e ancora oggi mi domando come sia possibile che una società civile abbia bisogno di leggi a tutela della donna. La Costituzione Italiana sancì nel 1948 che "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" (art. 3) e inoltre che "La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore." (art. 37) e sembra strano che ancora oggi ci sia bisogno di ricordarlo, puntualizzarlo con nuove leggi. E' poi sufficiente seguire l’attualità e guardare con occhi attenti ciò che ci circonda per capire che l’agognata uguaglianza non è ancora così reale; il 1 luglio 2011 il Corriere della Sera pubblicava un articolo che iniziava così: "A Inzago, provincia di Milano (...) un'azienda licenzia solo le donne perché il loro reddito non è essenziale alla famiglia.(...)". A dir poco sconvolgente e chiara dimostrazione della forte necessità, nel nostro Paese, di leggi a tutela della donna.
Le considerazioni di ADRIANA BRANDONI Presidente Comitato per l’ Imprenditoria Femminile – Camera di Commercio Ancona:
Senza dubbio un primo passo importante, anche se parziale perché limitato ai soli cda e non anche agli altri livelli decisionali.
La donna di oggi è culturalmente preparata ed ha dimostrato di sapersi destreggiare al meglio in ogni situazione. Antichi retaggi culturali, norme che non riescono a contemplare la diversità di genere, un sistema organizzativo e di leggi obsoleto che non vuole o non riesce a beneficiare del “punto di vista” femminile, pur così presente nel mondo del lavoro e nella società, ma mai rappresentato a sufficienza. Sì, stanche di essere “interpretate” da altri, da chi non ha il nostro punto di vista e la nostra sensibilità.
Riconoscere il valore della donna è una opportunità di civiltà, un arricchimento di cui, nel pieno di una crisi globale, la società ha bisogno per reinventare modelli nuovi e nuove opportunità di lavoro e di modalità di relazione.
Gli altri Paesi europei si sono mossi da tempo: noi, come sempre, arriviamo molto dopo e con poco coraggio: speriamo che questa legge (bene perché bipartisan) ci consenta di uscire dai soliti schemi e diventi velocemente l’apripista che occorre alla donne e alla società tutta”