Gli anni della crisi hanno visto la contrazione degli spazi di partecipazione e delle energie di cooperazione, quella che il sociologo americano Richard Sennet ha identificato come una “forte riduzione della capacità di cooperare e di agire insieme per uno scopo comune”.
Per una comunità, grande o piccola, locale o internazionale, smarrire il senso e la volontà di cooperazione significa rinunciare a cercare di mettere insieme persone o gruppi che hanno interessi diversi e distinti, che non sono in situazione paritaria, che hanno incomprensioni tra loro; rinunciare alla possibilità di considerare anche il punto di vista dell’altro nella scelta della propria posizione e nella ricerca di soluzioni.
Una rinuncia che però rischia di trasformarsi in un gioco a somma negativa, in cui nessuno può dirsi vincitore, o in cui tutti rischiano di perdere: per il buon funzionamento delle società complesse è necessario affrontare e gestire i conflitti, riscoprendo la capacità dialogica e le abilità tecniche della collaborazione che rendono più agevole il portare a compimento i processi in realtà composite e articolate.
Se pensiamo all'asprezza degli scontri e alla difficoltà di ricercare obiettivi comuni che abbiamo riscontrato in questi anni, sia in politica che in realtà economiche e sociali del nostro Paese, ritroviamo traccia di questo smarrimento delle competenze di cooperazione.
Certo la crisi ha inciso profondamente sull'emersione di queste tendenze, contraendo le risorse a disposizione, aumentando le disuguaglianze e spingendo, in ogni campo, a partire dall'economia, a traguardare orizzonti temporali sempre più brevi per ottenere risultati di successo. Il mito della velocità come condizione di efficienza ed efficacia delle scelte, incluse quelle di politica pubblica, è alla base anche di un altro fenomeno che sta interessando varie democrazie occidentali: la tendenza alla disintermediazione, ossia la volontà di indebolire le associazioni di rappresentanza degli interessi collettivi, descritte come ostacolo alla rapidità decisionale e superflue per la stessa democrazia, per ricercare un rapporto diretto tra governo e cittadino (o tra singolo datore di lavoro e lavoratore).
Sono stati in effetti anni di crescenti complessità, incertezza e rapidità nei cambiamenti nei processi economici e sociali, che hanno favorito, anche nel nostro Paese, stili di governo, a livello centrale e territoriale, più attenti alla comunicazione, inclini alla velocità delle decisioni, meno disponibili al dialogo con le opposizioni o le rappresentanze sociali.
Governi regionali e locali hanno spesso attuato accelerazioni sull'emanazione di provvedimenti legislativi e/o amministrativi e semplificazioni comunicative nella attribuzione di responsabilità ai loro potenziali interlocutori. Secondo De Rita al posto dei marginalizzati enti intermedi hanno però preso spazio “i più svariati operatori di un lobbismo strisciante e particolaristico, incapace di ragionare in termini di interessi generali”, ma di condizionare in modo negativo la politica.
In questi anni la Cisl, che ha nel suo dna il rifiuto di ogni condotta ideologica o pregiudiziale verso istituzioni, forze politiche, imprese, ha più volte fatto appello agli attori politici e sociali perchè non restassero prigionieri di posizioni datate e conservative.
Ma allo stesso tempo abbiamo sostenuto il valore e la forza della contrattazione (e della concertazione), come assunzione concordata di responsabilità per raggiungere obiettivi condivisi, come veicolo di partecipazione e qualificazione della democrazia, oltre che concreta leva per la crescita della produttività e della qualità.
Per questo negli anni scorsi abbiamo evidenziato il rischio di azzeramento del dialogo sociale, considerato un valore in Europa e che in altri paesi ha rappresentato un elemento di equilibrio e propulsione. Per questo abbiamo sempre presentato valutazioni di merito sui provvedimenti che, senza confronto sociale, venivano adottati.
Per questo, pur consapevoli della necessità di radicale cambiamento che interroga tutte le organizzazioni sociali e quindi anche noi, abbiamo respinto i disegni caricaturali con cui è stato talvolta rappresentato il sindacato confederale italiano da semplificazioni politico-mediatiche non sempre genuine.
Per questo abbiamo chiesto provvedimenti a sostegno della contrattazione di secondo livello per favorire la detassazione dei premi salariali e contemporaneamente ci stiamo spendendo per rinnovare i contratti nazionali di lavoro.
Per questo stiamo proponendo di rafforzare il partenariato tra le parti sociali per adeguare la qualificazione di imprenditori e lavoratori, per offrir loro servizi adeguati, per favorire cooperazione e partecipazione nei sistemi lavorativi.
Per questo, insieme agli altri sindacati, abbiamo proposte per innovare il sistema contrattuale e di rappresentanza, per flessibilizzare l’accesso alla pensione, valorizzare la previdenza integrativa, innalzare le pensioni minime, combattere il lavoro nero, potenziare le politiche attive del lavoro, riattivare la contrattazione nel sistema pubblico come strumento per innovare la pubblica amministrazione…
Per questo abbiamo colto con interesse, col nostro consueto pragmatismo costruttivo, l’avvio del confronto da parte del Governo su lavoro, sistema pensionistico, contrattazione nel pubblico impiego.
Per questo stiamo mettendo tutto il nostro impegno, perchè si arrivi su questi e altri temi, a soluzioni condivise ed efficaci per i cittadini, il mondo del lavoro, il Paese.
Per questo anche a livello regionale e locale approfondiamo temi, elaboriamo proposte, sollecitiamo dialogo tra istituzioni, parti sociali, realtà del volontariato, convinti che le Marche non debbano rattrappirsi nel rimpianto di un’epoca d’oro che non tornerà; che debbano innovare cogliendo il potenziale di generatività, i segni di futuro che sono sbocciati numerosi durante la crisi, e rammendare però al contempo il tessuto di comunità.
La collaborazione, afferma Sennett, è inscritta nei geni degli esseri umani, ma non va confinata a comportamenti di routine.
Ecco, noi siamo certi che la tendenza alla cooperazione, alla partecipazione, nel mondo del lavoro e dell’economia, come nella politica, sia essenziale e non vada trascurata, che abbia bisogno di essere coltivata, sviluppata e approfondita, valorizzando anche le esperienze e le forme di consumo, lavoro e finanza innovative e cooperative che si stanno sviluppando anche, ma non solo, grazie alla rete.
De Rita ha parlato di “avvio silenzioso di un processo di nuova vitalità dei soggetti intermedi”; come Cisl, a livello nazionale come nelle Marche, crediamo di poter dare un contributo in questa direzione, al servizio del mondo del lavoro, delle realtà sociali in cui operiamo, del bene comune.
di Stefano Mastrovincenzo12 agosto 2016