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  • Una società si misura su ciò che fa per i suoi figli

Il teologo Dietrich Bonhoeffer diceva che «il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini». Quindi la domanda su cosa fa e la società contemporanea per i suoi figli e per i giovani sorge spontanea, soprattutto se consideriamo che la società occidentale sta vivendo una crisi economica che è anche crisi demografica: fare figli è diventato un lusso e lo Stato diminuisce il proprio investimento sui bambini.

Secondo i dati resi noti alla fine del 2015 dal Garante dell’Infanzia nel rapporto “Disordiniamo!”, la spesa per infanzia e adolescenza in Italia è pari a 45,6 miliardi, dei quali più del 90% va per il personale del ministero dell’Istruzione. Facendo qualche calcolo in riferimento al bilancio del 2014, lo Stato spenderebbe ogni anno circa 398 euro per bambino o adolescente residente sul territorio nazionale, ovvero circa lo 0,2% del Pil.

Senza considerare che 1 milione 131 mila sono i bambini che vivono in condizione di povertà assoluta e che il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza continua a diminuire, nonostante la Garante per l’Infanzia, Filomena Albano, in occasione della Giornata Mondiale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ricorda che: «L’Italia è sempre stato un Paese virtuoso sul piano del riconoscimento dei diritti dell’infanzia, con una bella tradizione di tutela delle persone di minore età, vulnerabili e indifese».

Secondo l’UNICEF, nonostante gli enormi progressi fatti dall’approvazione della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel 1989, ratificata in Italia nel 1991, i diritti di milioni di bambini vengono quotidianamente violati. Sono circa 6 milioni quelli che ancora muoiono ogni anno per cause prevenibili. Circa 50 milioni di bambini sono stati sradicati dalle loro case, di questi 28 milioni sono sfollati a causa del conflitto. I bambini intrappolati in aree sotto assedio – compresa la Siria, l’Iraq e la Nigeria del Nord* – corrono maggiori rischi di vedere i loro diritti violati, a causa degli attacchi contro le scuole, gli ospedali e le loro case. A livello globale, circa 250 milioni vivono in paesi colpiti dal conflitto. Circa 385 milioni di persone vivono in condizioni di povertà estrema e più di 250 milioni di bambini in età scolare non stanno ricevendo un’istruzione.

Da ricordare che in Italia la Legge di stabilità 2016 ha stanziato € 100 milioni annui attraverso le fondazioni bancarie un apposito fondo alla lotta alla povertà educativa minorile per il prossimo triennio.

È per tutte queste ragioni che ci si deve impegnare, presentare proposte concrete per combattere ingiustizie e discriminazioni nell’accesso ai diritti in ambito sanitario, scolastico, sociale, per abbattere quei muri di differenze e disparità che sono ancora presenti anche nella società italiana. Ancora donne partorienti muoiono nel dare alla luce bambini, o sono forti le difficoltà socio economiche che impediscono l’accesso o la permanenza nella scuola, si pensi al fenomeno dell’abbandono scolastico, ancora molto presente in molte regioni d’Italia. Alcuni traguardi sono stati raggiunti con l’innalzamento dell’età dell’obbligo scolastico a 16 anni dal 2007/2008. Il fenomeno dell’abbandono scolastico si è fortemente ridimensionato nei primi livelli d’istruzione obbligatoria, ma si innalzato nelle scuole superiori. L’Italia è tra i Paesi dell’UE con i più alti tassi di abbandono scolastico tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni, i quali non raggiungono il diploma di scuola secondaria o una qualifica professionale.

Spesso questi bambini e ragazzi non avendo un’educazione scolastica, si perdono, diventando preda facile di balordi, criminali, pedofili o cadono nelle trappole dello sfruttamento del lavoro in nero, vendita di contrabbando, o nei peggiori dei casi della criminalità organizzata diventando spacciatori, solo perché abbagliati dal facile guadagno, a volte destinato a famiglie che svendono il destino dei loro figli, perché poveri.

In altri casi, in particolare i ragazzi adolescenti tra i 14-17 anni ( 2 milioni su 10 milioni circa di minori in Italia), pur vivendo in famiglie benestanti, sperimentano nuove forme di solitudine all’interno dei loro nuclei familiari, perché i genitori sono assorbiti da impegni lavorativi stressanti o da condizioni affettive difficoltose, quand’anche non sopraggiungono separazioni e divorzi, che creano in molti casi instabilità sia nei bambini che negli adolescenti.

Da un lato assistiamo da tempo ad una perdita di valori da parte degli adulti, che non riescono a garantire per sé e per i propri figli una progettualità anche esistenziale, ad esercitare il ruolo di genitore, che non è quello amicale; dall’altro i ragazzi, non avendo una sorte di guida anche autorevole, spesso soli, si dedicano ai social network, che sono diventato lo strumento per conoscere persone, costruire e gestire relazioni. Sappiamo però che nel "bosco" dei social i minori senza adeguati strumenti possono perdersi: tra l'altro i social sono spesso usati come mezzi per esercitare potere sui più deboli e fragili, si pensi ai fenomeni del bullismo e/o cyberbullismo, anche omofobico, che in alcuni casi ha portato al suicidio.

Molte indagini psicosociali ci mostrano che gli adolescenti sono una “generazione all’eccesso”, nell’uso dei social network, dell’alcool, delle sostanze psicoattive, nel comportamento sessuale. E noi adulti di riferimento, genitori, educatori? Dobbiamo riappropriarci di un ruolo fondamentale, quello di essere guida e punto di riferimento. Partecipare a momenti di costruzione di politiche, di interventi in favore dei minori; costituire punti di ascolto con i giovani, continuare ad organizzare incontri nelle scuole contro le dipendenze, il gioco d’azzardo, sui rischi derivanti dall’uso indiscriminato dei social; costruire interventi educativi qualificati, che coinvolgano sinergicamente gli attori del quadrilatero formativo (famiglia, scuola, istituzioni, terzo settore); attivare un nuovo protagonismo dei ragazzi, renderli capaci di costruirsi percorsi di vita e protagonisti nel tessuto sociale, rendere loro possibile partecipare a forum, momenti di confronto pubblici ove esprimere le loro opinioni, il loro punto di vista per essere e sentirsi cittadini e gli adulti di domani.