Ci apprestiamo a celebrare il 1° Maggio con la stessa forza e convinzione di sempre, ma duramente provati, come territorio pesarese, da una crisi che perdura da ormai quasi quattro anni e che ha avuto, nell’ultimo semestre, una preoccupante riacutizzazione, aggravata dai danni prodotti dall’eccezionale nevicata del Febbraio scorso.
Le persone, le famiglie, le imprese in difficoltà aumentano e il disorientamento rischia di lasciare il posto ad un disagio sempre più diffuso. Secondo i dati ISTAT illustrati dalla Provincia nella recente CPL, il tasso di disoccupazione è passato, dal 2010 al 2011, dal 4.7 al 5.8%; quello giovanile dall’11.2 al 21.4% e quello femminile dal 4.9 al 7.2%.
Quello di occupazione è diminuito dal 1.4%; gli occupati sono passati da 166.380 a 163.683.
Nel 1° trimestre 2012 si sono registrate il 5.5% di assunzioni in meno rispetto allo stesso periodo 2011. La Cig nel mese di Marzo, rispetto allo stesso mese del 2011, è cresciuta del 21%.
Perdita del potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni; erosione del risparmio delle famiglie e contrazione dei consumi sono alcuni dei fenomeni che stanno assumendo proporzioni notevoli anche nella nostra provincia.
Che risposte siamo in grado di offrire ai tanti soggetti bisognosi di aiuto? Come frenare un carovita che falcidia , mese dopo mese i bilanci familiari?
L’impegno per arginare questa situazione va profuso a tutti i livelli.
Il governo Monti ci ricorda tutti i giorni che questi sono i tempi del rigore economico. E’ questa una sfida che come sindacati abbiamo raccolto ponendo una sola condizione: che al rigore siano associati equità e politiche per lo sviluppo.
Che chi ha di più sia chiamato a dare di più; che vi sia concreto sostegno all’occupazione.
Perché di solo rigore si può anche morire, come sembra abbiano finalmente capito i vari governanti europei.
D’altra parte le politiche di rigore, i sacrifici richiesti a lavoratori e pensionati soprattutto, rischiano di essere, oltre che iniqui, come di recente lo è stata la riforma delle pensioni, anche insufficienti, se non si pone fine a delle distorsioni di fondo.
A livello internazionale vanno adeguatamente regolamentati i mercati finanziari, per evitare le attuali, macroscopiche, speculazioni.
Se 6 operazioni su 10 vengono effettuate fuori da ogni controllo, come può avvenire ciò? Come si può riportare la finanza a strumento di sostegno dell’economia reale e questa porla autenticamente al servizio dell’Uomo?
A livello nazionale la priorità assoluta è rappresentata dal riordino dei conti pubblici e dalla lotta agli sprechi ma, in nome dell’equità e della lotta alle disuguaglianze è fondamentale una riforma fiscale che alleggerisca il prelievo su redditi da lavoro e pensioni e riduca il costo del lavoro, orientando verso questi obiettivi le risorse derivanti da un’adeguata tassazione dei patrimoni e dalla lotta all’evasione fiscale.
Non è sostenibile una situazione in cui il 10% delle famiglie detiene il 49.7% della ricchezza e come afferma l’ISTAT, a fronte di un aumento, negli ultimi 10 anni, del 5.8% delle abitazioni, nello stesso periodo 50.000 famiglie in più dichiarano di vivere in baracche. Sul piano locale, la riqualificazione del nostro sistema manifatturiero, la valorizzazione dell’agricoltura, il lancio del turismo vanno combinati con la salvaguardia del nostro sistema di welfare, messo a dura prova da una contrazione delle risorse a disposizione degli Enti locali, a seguito di un processo federalista un po’ bislacco che fino ad oggi ha prodotto solo un incremento della pressione fiscale sui cittadini.
Le richieste di assistenza sociale ai Comuni sono, nell’ultimo triennio, triplicate.
Per evitare che questo si trasformi in ulteriore tassazione è indispensabile, superando gli attuali, incomprensibili ritardi, sul piano della spesa puntare ad ulteriori risparmi attraverso la gestione associate di servizi e funzioni tra i vari Comuni e sul piano delle entrate stabilire che rette e tariffe siano fissate utilizzando lo strumento dell’Isee lineare.
Ma aldilà delle pertinenze dei vari livelli, alla base di ogni risposta va posto un concetto essenziale: per uscire dalla crisi bisogna difendere e rilanciare il lavoro e fondare su di esso ogni ipotesi di sviluppo economico.
E nel contempo dare più valore ed attenzione alle persone. Sostenendole, siano esse lavoratori dipendenti o datori di lavoro, nei momenti di difficoltà che la crisi ingenera; per evitare, come è successo a molte in questi ultimi mesi , che ricorrano a dei gesti disperati.
Va favorita, in ogni modo, la creazione di nuova, “buona” occupazione. Che punti sì all’incremento della produttività ma anche, attraverso la contrattazione, al conseguente aumento delle retribuzioni.
Che ad un salario dignitoso associ il rispetto rigoroso delle norme di salute e sicurezza. Troppo alto è il tributo di vite umane che paghiamo per l’incuria e per la malsana riaffermazione della logica del massimo ribasso negli appalti.
La riforma del lavoro in discussione in Parlamento risulta convincente nel contrasto alle “flessibilità malate” e nell’affermazione del principio che il contratto ordinario debba essere quello a tempo indeterminato.
Deve essere però difeso nel corso dell’iter parlamentare l’istituto della reintegrazione per chi è ingiustamente licenziato e perseguito il giusto equilibrio tral’allargamento della platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali e la misura e la durata degli interventi.
Per il rilancio dell’economia serve all’Italia un reale sostegno alle attività di ricerca e d’innovazione delle imprese.
E’ necessario, nel rispetto degli equilibri socio-ambientali, il varo immediato di un Piano d’interventi infrastrutturali, materiali ed immateriali e di una seria politica industriale.
Perché è delittuoso assistere alla messa in discussione di migliaia di posti di lavoro e non sbloccare, per pastoie burocratiche, miliardi di euro già stanziati per importanti interventi, viari e non, utili per colmare il divario che registriamo al riguardo, rispetto agli altri paesi europei.
Serve un programma di liberalizzazioni autentiche che sgombri il campo, in molte attività, da rendite di posizioni fuori dal tempo e non si riduca a scelte riduttive e discutibili come quello degli orari dei negozi.
Non è certo con le aperture festive indiscriminate degli esercizi commerciali che daremo vigore alla nostra economia!
Ciò che veramente serve è una rete di distribuzione che faccia salvo anche il piccolo commercio e non lo marginalizzi come le scelte recenti rischiano di fare.
Sul lavoro va costruito il domani; sulla difesa dei più deboli va imperniata la vita delle nostre comunità.
Un nuovo Patto per il lavoro e la crescita è ciò che serve per riaprire l’orizzonte nostro e dei nostri figli, liberandolo dalle inquietanti nubi odierne che nessun Governo, tecnico e non, potrà diradare da solo.
In centinaia di Piazze, in tutta Italia, questo sarà il nucleo della proposta che CGIL-CISL-UIL impegnati oggi più che mai a dare valore al lavoro, faranno alle altre parti sociali e al Governo.
Ma serve anche, come ci ha ricordato il Presidente Napolitano nella sua recente visita a Pesaro il rilancio di una “buona” politica, eticamente ispirata. Capace di sprigionare energie ed impegno votati al bene comune; capace di affrancarsi dal pericolo di essere ridotta a semplice strumento per affaristi ingordi ed egoisti e terreno per disinvolti populisti.
La nostra democrazia ha bisogno di un profondo rinnovamento: si cominci, senza indugi, dalla legge elettorale, ridando reale potere di scelta dei propri rappresentanti ai cittadini; si continui con il riassetto del sistema istituzionale che ha bisogno di essere snellito e reso più efficiente.
Ogni atto di trasparenza, di sobrietà, di lungimiranza, rappresenterà, per quanto doveroso, un apprezzabile segno d’attenzione, per chi si trova oggi in particolare difficoltà.
Sarà inoltre un modo tangibile per consentire ai nostri giovani di guardare con maggiore fiducia e speranza al proprio futuro liberando quelle energie vitali indispensabili per ridare slancio al nostro Paese.
Sauro Rossi Segretario Generale Ust - Cisl Pesaro - Urbino