Diritti In Genere

16/07/2018 La tutela della salute e sicurezza delle donne e la prevenzione della violenza e delle molestie nei luoghi di lavoro
L’impegno per la tutela della salute è previsto dalla nostra Costituzione art. 32 (tutela della salute come fondamentale diritto), dall'art. 2087 cod.civ. (che impone al datore di lavoro di adottare le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro), dall'art.9 della legge 300/1970 (che sancisce il diritto dei lavoratori di controllare l’applicazione delle nome di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali,di promuovere l’attuazione delle misure idonee a tutelare la loro salute e integrità fisica); sarà il T.U. n.81/2008 e succ.modifiche a introdurre nella normativa il principio della prevenzione di genere, quindi salute e sicurezza non sono più considerate "neutre". All'art.1 del T.U. il legislatore interpreta la parità di trattamento " ....garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati ". L'Istat nel 2018 ha valutato un aumento dell'occupazione femminile al 49%  con la evidente necessità di continuare nell'incremento delle ricerche nelle diverse realtà lavorative, con specifici fattori di rischio per la salute di genere.  La tutela della gestazione  e della maternità è stata la prima e importante normativa rivolta alle donne; in seguito si è iniziato a prendere in considerazione  altri aspetti fisiologici  femminili che posso incidere nella salute e nel benessere  lavorativo. La specificità dei sessi nell'ambito lavorativo è una conquista essenziale per la conoscenza e la valutazione dei rischi. Con il superamento delle ricerche "neutre" si è pervenuti all'integrazione degli studi e all'emersione di effetti nocivi che per anni sono stati sottovalutati. Ad esempio gli studi sui rischi delle sostanze tossiche nel lavoro, tradizionalmente effettuati su uomini, ora vengono misurati anche sulle lavoratrici per la possibile rispondenza differente dai lavoratori. Nel settore tessile si manifestano in prevalenza sulle donne disturbi come asma e allergie , mentre i rischi nel sollevamento di pesi , nello spostamento di carichi, nella fatica fisica e difetti di postura emergono nelle pulizie e nelle mansioni di assistenza e cura.  Nelle recenti ricerche risulta che i principali fattori di rischio correlati agli effetti della salute riproduttiva sono di diversa natura. Vengono distinti in agenti chimici, agenti biologici e agenti fisici: gli agenti chimici riscontrabili nella industria galvanica, preparazioni di vernici e insetticidi, uso di solventi, lavori agricoli , sanità, industria farmaceutica ecc. A questi specifici rischi è collegato indubbiamente il fondamentale aspetto organizzativo che si traduce con la turnazione, particolari orari di lavoro, le posture inadeguate e lo stress psicosociale. La dimensione del problema è riscontrabile anche nella relazione tra condizioni lavorative e la sindrome da stress lavoro-correlato innescato da cause provenienti dalla prestazione come l'eccessivo carico di lavoro, la violenza psicologica, il demansionamento, il mobbing, l'emarginazione, le molestie sessuali, la mancanza di ruoli determinati, e altre vessazioni  subite nell'ambiente lavorativo. Queste sono ritenute le principali cause della sindrome della depressione e delle malattie psicologiche, che possono essere risolte solo considerandole un serio rischio lavorativo che si può superare  con l'adeguamento alle normative.  Decisamente di rilievo il tema della violenza e molestie nei luoghi di lavoro, dove la prevenzione e protezione aziendale non può essere mai generica; C.Cass.sent.12/01/2018 " “Il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità...tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda..." . Come scritto nella sentenza della Cassazione le misure che l'imprenditore deve attuare sono specifiche, si definiscono tipizzate se previste dalle norme , ovvero atipiche se non previste, ma desumibili dall'art.2087 cod.civ. L'accordo europeo 2007 tra le parti sociali prevede la stipula di un importante strumento aziendale che, negli ultimi anni, si è realizzato anche nelle Marche . Un accordo stipulato per prevenire e contrastare la violenza e le molestie di genere nelle Aziende, con la sottoscrizione delle sigle sindcali (CISL,CGIL e Uil) , Confindustria e altre associazioni imprenditoriali. Questi specifici accordi sono stipulati a livello regionale, provinciale,  ma anche in sede aziendale. Inoltre, in materia di formazione e informazione delle lavoratrici e dei lavoratori la previsione è esplicita nel T.U. 81/2008 ; già nella raccomandazione CEE92/131 del 27/11/1991 viene espressamente indicata la formazione dei dipendenti indispensabile  per  individuare i fattori che possano rendere  l'ambiente di lavoro esente  da molestie  e violenze; il fine è rendere consapevole ciascuna lavoratrice e lavoratore delle proprie responsabilità, tanto da convincere il molestatore dell'inamissibilità dei suoi comportamenti.  Le parti sociali  e le Aziende hanno iniziato a concretizzare questo percorso in un contesto ancora disomogeneo dove, accanto ad imprese virtuose altre non sono ancora sufficientemente sensibilizzate, con lavoratrici/tori non pienamente consapevoli dei rischi.  Gli infortuni, mortali e non , le malattie professionali e le malattie psicosociali possono essere prevenute con una organizzazione aziendale competente, che aderisca alla normativa del T.U.81/2018 , al fine di evitare anche i danni economici  e le conseguenti spese sanitarie. 
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03/07/2018 Cooperative Sociali: sgravi per l’assunzione delle donne vittime di violenza
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Interno, ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 27 giugno 2018, il Decreto n. 11 maggio 2018 con le disposizioni in materia di sgravi contributivi per l’assunzione delle donne vittime di violenza di genere. Alle cooperative sociali (di cui alla legge n. 381 del 1991) che assumono, con contratti a tempo indeterminato, a decorrere dal 1° gennaio 2018 e non oltre il 31 dicembre 2018, donne vittime di violenza di genere, inserite nei percorsi di protezione, debitamente certificati dai centri di servizi sociali del comune di residenza o dai centri anti-violenza o dalle case-rifugio, è riconosciuto l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico delle cooperative medesime, con esclusione dei premi e contributi all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) nel limite massimo di importo pari a 350 euro su base mensile. Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche. L’agevolazione è concessa nel limite di spesa di un milione di euro, per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. Al fine dell’ammissione al beneficio, in relazione ad ogni assunzione operata sulla base delle agevolazioni previste, le cooperative sociali devono produrre la certificazione del percorso di protezione rilasciata dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri anti-violenza o dalle case-rifugio. Le agevolazioni contributive sono riconosciute dall’Inps in base all’ordine cronologico di presentazione delle domande da parte delle cooperative sociali nei limiti delle risorse  
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09/05/2018 Servizi sanitari e prevenzione integrati per combattere la violenza e tutelare la salute delle donne
 La tutela sanitaria delle donne vittime di violenza e la prevenzione della salute di genere al centro dell’incontro che si è svolto lo scorso 26 aprile tra Cgil Cisl Uil e il Servizio Sanità della Regione Marche  « Un’opportunità  per ribadire  l’importanza  di quanto previsto nelle “Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza” – hanno commentato Gabriella Fanesi, Cristiana Ilari e Claudia Mazzucchelli, presenti all’incontro in rappresentanza di Cgil Cisl Uil Marche  - e confermare  la necessità  di un intervento integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche  e psicologiche che la violenza  genera sulla salute della donna e dei figli minori, con  procedure armonizzate e interconnesse su scala regionale a livello sanitario,  secondo quanto anticipato dal Protocollo della rete regionale e poi ribadito dalle linee guida. »  Va ricordato che nel dicembre 2017 era  stato firmato, anche dalle rappresentanti di  Cgil Cisl Uil Marche,  componenti del Forum regionale contro le molestie e la violenza di genere e della Commissione Pari Opportunità, il  Protocollo inter-istituzionale “Rete regionale antiviolenza delle Marche” promosso dall’Assessorato alle Pari Opportunità. Il Servizio Sanità della Regione Marche, nell’occasione,  ha  confermato l’impegno a verificare i percorsi relativi ad accoglienza e presa in carico delle strutture sanitarie delle donne vittime di violenza in relazione a quanto stabilito dal DPCM; inoltre, seguendo il “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020”, ha ribadito l’importanza della formazione delle operatrici e degli operatori sanitari. «Accogliamo con soddisfazione,  la volontà regionale  di costituire un gruppo di lavoro specifico  dove sarà presente anche una  nostra rappresentante, e l’approvazione della delibera che consente anche nelle Marche l’esenzione del ticket per le  donne vittime di violenza all’interno dei percorsi sanitari di presa in carico – sottolineano le rappresentanti sindacali presenti all’incontro -  Un percorso protetto, fondamentale per assicurare alle vittime il superamento della sofferenza fisica e psicologica che la violenza comporta, ma anche utile, ai fini processuali, in termini di raccolta delle prove del reato.»  Secondo Cgil Cisl Uil  Marche,  è  di fondamentale  importanza, inoltre,  la  prevenzione e la tutela della salute delle donne  attraverso screening mirati « siamo impegnate a trovare tutte le modalità più efficaci per sollecitare le lavoratrici e le pensionate ad aderire alla campagna di prevenzione messa in campo dalla Regione Marche. – concludono - Un impegno comune che deve favorire sinergie efficaci e quel lavoro di rete che è necessario per sostenere, tutelare, valorizzare le donne marchigiane.»
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09/04/2018 Il lavoro di cura, il "doppio sì" e il principio di non discriminazione
L'importanza dell'attività di cura in ambito familiare è influenzata negativamente dal modo con con cui si parla del lavoro di cura e dal linguaggio usato  nel trattare  l'argomento. Una  parte degli uomini ha iniziato ad occuparsi dell'assistenza a familiari, pur trattandosi di una parte modesta: sono quindi soprattutto le donne a prendere in carico la necessaria attività di cura in famiglia e per questo considerate svantaggiate in quanto hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Non possiamo esimerci dal ricordare che in Italia l'attività di cura è generalmente considerata solo un'attitudine femminile, priva di valore tecnico e intrinsecamente gratuita.  Anche il linguaggio europeo ha una connotazione che influisce negativamente sulla valutazione dell'attività: infatti si parla delle donne come persone che hanno sia lavoro "riproduttivo" sia lavoro "produttivo" come un "doppio carico" (double burden). Questa impostazione sopravvaluta il mondo della produzione rispetto all'attività di cura: diversamente, nella realtà sociale, ha molta importanza che donne e uomini svolgano in prima persona e qualitativamente il lavoro di cura. Vero è che la disistima della cura è stata ed è ancora una delle ragioni del malessere che accompagna il mondo del lavoro.  A partire dagli anni '90 si è sviluppato il tema dell’ingresso nel mondo del lavoro femminile assegnando maggior importanza al lavoro stesso. Le donne diventano una parte imprescindibile nel mercato del lavoro dimostrando che non intendono lavorare escludendo le relazioni, in particolare quella madre-figlio. Per molte donne i tempi di lavoro sono importanti quanto, talvolta di più, la retribuzione  e la carriera.  Ne consegue che la discussione viene impostata tutta sulla struttura del contratto di lavoro e le sue nuove forme giuridiche. In effetti le donne sono in difficoltà a causa dei tempi del lavoro fuori casa e del lavoro di cura, coinvolgendo nel problema le aspettative di vita e l'aspetto economico.   La scelta contestuale del lavoro produttivo e del lavoro di cura - il doppio si - comporta difficoltà, ma è anche una sfida nei confronti degli assetti del mondo del lavoro per tentare un ribaltamento delle concezioni tradizionali .  Non si tratta di investire solo su programmi di work-life balance che assoggettano l'attività di cura al lavoro retribuito per sostenere l’efficienza aziendale; bensì della valorizzazione della cura rispetto all'organizzazione del lavoro: l'impresa dovrebbe essere capace di tenere insieme le due realtà. La precarieà imposta dalla crisi economica, non certo superata, rende ancora più complessa la scelta delle donne. L'idea che l'inclusione delle donne si realizzi solo attraverso l'ingresso nel mercato del lavoro diverge dal sentire concreto di donne (e uomini) in quanto i diritti sarebbero collegati esclusivamente con il lavoro. In Italia i dati statistici rilevano le oggettive difficoltà: nell'anno 2016 le donne con contratto part-time erano tre volte superiore agli uomini con la stessa tipologia contrattuale: 19% per le donne e 6,5% per gli uomini.  In tale contesto nasce la giurisprudenza antidiscriminatoria della Corte di Giustizia europea impostata sull'idea di fungibilità dei ruoli di genere. Ad oggi non si è riusciti a rinnovare la scala dei valori che collocano tradizionalmente nel livello superiore le attività produttive (tradizionalmente maschili e ritenute più importanti economicamente) rispetto alle attività riproduttive (figli e cura familiare). A fronte della volontà delle donne di fare scelte lavorative differenti rispetto a scelte tipicamente maschili, la soluzione promossa dai piani europei di formazione è in prevalenza quella di supportare le donne verso lavori "maschili" per agevolare il superamento di stereotipi che conducono all'attività di cura. Le sentenze della Corte di Giustizia europea hannno sostanzialmente operato seguendo la visione di valori consolidati sul lavoro produttivo, dove il lavoratore/trice (uomini e donne) sono fungibili nell'economia del mercato, senza considerare le "esigenze" complete delle persone. Il tema del "doppio sì", portato davanti alla Corte di Giustizia europea, ha condotto anche verso soluzioni nuove che affrontano non solo la discriminazione di genere ma anche le nuove discriminazioni, come quella della disabilità. Complessa la narrazione dei fatti nella causa Coleman, che è un simbolo per il conflitto di genere "nascosto", in quanto la donna è in contrapposizione con l'immagine del lavoratore ideale costruito sulla normale vita maschile poco attenta nella cura. L'importanza della sentenza è insita anche nella volontà della dipendente che non ha voluto rinunciare ad assolvere l'attività di cura, pur restando nel mondo del lavoro e non rientrando come "carer" nelle categorie protette.  La Sig.ra Coleman dichiarò: «Voglio che le persone siano in grado di lavorare, ma si prendano cura dei loro figli». La Corte di Giustizia ha stabilito che "la disparità di trattamento sofferta sul lavoro dal genitore che provveda in via primaria alla cura del proprio figlio disabile, e che sia dovuta a questa relazione, può costituire discriminazione per motivi di disabilità" (vedi DirittiIngenere del 16/03/18). Molte donne che hanno l'esigenza di stare con i figli non intendono affermare il tradizionale ruolo materno, bensì manifestano una personale espressione di libertà femminile.  Abbiamo visto nel tempo innescarsi la crisi della separazione del mondo della "produzione" dalla sfera della "cura" ed è emerso il conflitto contro l' eccessiva superiorità del valore del lavoro produttivo. Continua a manifestarsi la mancanza di attenzione alla "cura" nelle imprese e negli uffici, che non diminuisce con l’ingresso nelle aziende di molte donne, essendo le caratteristiche maschili a prevalere su tutto.   Il conflitto umano ed economico è complesso e non sappiamo come verrà affrontato nel futuro: di certo la richiesta delle donne è rivolta al mondo dell'economia e delle imprese affinchè si adeguino maggiormente alle esigenze di vita delle persone, lavoratrici e lavoratori.   
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29/03/2018 "TI RISPETTO" a Pesaro prevenire la violenza si può
  Presentate a Pesaro  le azioni concrete per  informare le aziende, le  lavoratrici e  i lavoratori   per  prevenire le molestie, le discriminazioni e le violenze nei luoghi di lavoro,  frutto  del  primo Protocollo sottoscritto  in Italia,   a meno di due anni fa, tra Confindustria Pesaro Urbino e CGIL, CISL, UIL,  che ha recepito  a livello locale principi ed impegni per la prevenzione ed il contrasto ad ogni forma di violenza e molestia nei luoghi di lavoro, già contenuti in un’intesa nazionale ed europea tra le Parti sociali.  "Il fenomeno delle molestie e violenze nei confronti di donne ed uomini riguarda, in maniera sempre più eclatante, tutti gli ambiti della società e quindi può trovare anche nei luoghi di lavoro un contesto favorevole alla sua diffusione. - sottolineano i firmatari del potocollo - Per questo, è importante innanzitutto fare cultura ed aumentare la consapevolezza di lavoratrici, lavoratori ed imprese sulle caratteristiche del problema e sui mezzi esistenti per prevenirlo e combatterlo." Così, Confindustria Marche Nord Sede di Pesaro Urbino, CGIL, CISL e UIL, con la fattiva collaborazione della Rete anti violenza della Provincia di Pesaro Urbino hanno ideato e realizzato alcuni strumenti  da mettere a disposizione di chi è vittima di episodi di molestia o violenza nel luogo di lavoro, di chi potrebbe esserne vittima ed anche di chi, all’interno delle aziende, si può trovare nella necessità di gestire tali situazioni. "È prevista, innanzitutto, la possibilità per i datori di lavoro di aderire al Protocollo, facendone propri principi ed impegni ed è stata definita una dichiarazione di adesione da diffondere all’interno delle aziende, tradotta anche in inglese, francese ed arabo, in modo che il numero più ampio di lavoratrici e lavoratori possa acquisire consapevolezza di questo tema e dei propri diritti." Ulteriore strumento realizzato è la definizione di una procedura per la gestione di segnalazioni di casi di violenza o molestia all’interno dell’azienda o anche per fornire un supporto a quelle lavoratrici o lavoratori che subiscano fuori dall’azienda tali fenomeni e possano trovare nel luogo di lavoro un punto di riferimento per reagire. "Prossimo passo sarà la distribuzione nelle aziende del territorio provinciale di una brochure realizzata dal comitato tecnico previsto dal Protocollo: si tratta di uno strumento informativo da diffondere tra lavoratrici e lavoratori che ha quale fine accrescere la conoscenza dell fenomeno ed aiutare a riconoscerlo, perché il contrasto delle molestie e violenze passa, prima di tutto, dalla consapevolezza di chi ne è vittima" concludono.  Le aziende che lo vorranno, infine, potranno attivare dei percorsi formativi per il proprio personale, curati dalle volontarie dei Centri anti violenza presenti in Provincia di Pesaro Urbino, percorsi grazie ai quali, oltre che svolgere un ruolo attivo in questa comune battaglia, potranno anche ambire agli sconti sui premi INAIL previsti dalla legislazione vigente. Tutte le Parti firmatarie del Protocollo sono attive, tramite le proprie strutture, per fornire informazioni e per divulgare il più possibile i principi e gli strumenti già previsti ed in cantiere, affinché le aziende siano sempre più dei luoghi dove la violenza o le molestie non trovino un contesto favorevole ed anzi diventino laboratori per combattere linguaggi, atteggiamenti, mentalità che spesso ne sono la base ed il presupposto.
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16/03/2018 La lavoratrice in disabilità: il genere e le discriminazioni
La Direttiva del 27/11/2000 n.78/CE stabilisce un quadro generale per la parità in materia di occupazione, condizioni di lavoro e lotta alle discriminazioni fondate su religione,convinzioni personali, handicap, età e tendenze sessuali. La fattispecie della discriminazione indiretta contenuta nella Direttiva 2000/78 CE è configurata specificamente nella situazione di lavoratori e lavoratrici in disabilità, con opportune precisazioni. Le disposizioni normative o situazioni di fatto comuni potrebbero procurare comunque uno svantaggio proprio ai soggetti con handicap: sono quindi previsti all'art.5 della Direttiva i principi che vengono chiamati "reasonable accomodations" (a seguito dell'esperienza statunitense), ma in Italia sono declinati per il datore di lavoro nell'adoperarsi a migliorare situazioni concrete per lo svolgimento della prestazione lavorativa. Che cosa significa in pratica? I principi affermano l'opportunità di prevedere misure destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio: sistemando i locali o adattando le attrezzature, intervenendo nei ritmi di lavoro, nella ripartizione delle mansioni tra i lavoratori, fornendo mezzi di formazione e/o di inquadramento. Tali accorgimenti - se non osservati dal datore di lavoro – in quanto rientranti nelle disposizioni a favore della disabilità nel Paese di applicazione (anche tenendo conto dei possibili finanziamenti pubblici) non possono giustificare l'eventuale licenziamento della lavoratrice o lavoratore. Questa premessa è essenziale per comprendere nella realtà come si trova la donna portatrice di disabilità nel lavoro e possiamo sostenere che tutti i contesti lavorativi recano alle persone con handicap una probabile situazione discriminatoria. La Convenzione ONU dei diritti dei disabili, riconosce una "doppia discriminazione" nei confronti delle donne disabili e testualmente scrive all'art.6 dell'esistenza della "discriminazione multipla". Per le lavoratrici e lavoratori con handicap si parla spesso delle discriminazioni multiple, perché nei fatti queste situazioni reali posso coesistere. Ad oggi, la Corte di Giustizia ha dato prova di considerare queste fattispecie, ma la tipologia non è stata inserita nella normativa europea. Un esempio: una lavoratrice, di origine africana e portatrice di handicap, viene trattata con palese sfavore dal datore di lavoro: quale di queste situazioni determina la discriminazione? Vale la pena segnalare un caso - che riguarda tante donne madri e lavoratrici - di giurisprudenza europea, dove la donna lavoratrice sana ha un figlio portatore di handicap. Il datore di lavoro ha licenziato la dipendente per le molte assenze dovute dalla malattia del figlio disabile. La Corte ha riconosciuto la discriminazione per associazione in quanto la lavoratrice, pur non essendo portatrice della condizione protetta, viene però discriminata e licenziata a causa della disabilità del figlio. Nell'accertamento giudiziario della discriminazione vige l'inversione dell'onere della prova, cioè la controparte (datore di lavoro) deve dimostrare la non-sussistenza della violazione del principio di parità di trattamento, lamentato dalla lavoratrice ricorrente. In relazione alle discriminazioni, le legge prevede forme di tutela giurisdizionale a carattere cautelare e d’urgenza con procedure di conciliazione, anche con legittimazione ad agire e/o di sostegno per conto del soggetto discriminato da parte di rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative. Dall'ISTAT abbiamo i dati delle donne che lavorano con handicap: in Italia solo il 35,1% delle donne lavoratrici è con disabilità (contro il 52,5% degli uomini nelle stesse condizioni). Ricordiamoci che nella strategia Europa 2020 troviamo considerate espressamente le persone con disabilità nell'obiettivo della maggiore occupazione: questa visone futura di crescita non dovrà essere sostenuta solo politicamente, ma dall'intera società. (Un ringraziamento alla Prof. Silvia Niccolai per le fonti del diritto europeo)
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14/02/2018 Violenza contro le Donne. Furlan: «Numeri impressionanti. Attuare al più presto l'accordo con Confindustria sulle molestie»
«Sono numeri impressionanti che dovrebbero indignare tutti gli italiani. Nonostante qualche piccolo miglioramento è ancora agghiacciante il numero delle donne che nel corso della vita sono state vittime di violenza, molestie, ricatti sessuali sul luogo di lavoro per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere progressioni nella carriera». È quanto sottolinea la Segretaria Generale della Cisl, Annamaria Furlan, commentando i dati diffusi oggi dall’Istat relativi alla violenza sulle donne nel nostro paese. «Solo negli ultimi tre anni sono state 167mila le donne che in ufficio o in azienda hanno subito forme di ricatto, molte delle quali lavorava o cercava lavoro nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche ed in quello del lavoro domestico. Ed è emblematico che nell’80% dei casi le vittime non ne hanno parlato sul posto di lavoro, quasi nessuna ha denunciato quanto accaduto alle forze dell’ordine. Ecco perché è molto importante per la Cisl attuare l'accordo che abbiamo sottoscritto nel 2016 con la Confindustria per prevenire e contrastare le molestie in ogni luogo di lavoro, mettere in atto concretamente adeguate procedure per il rispetto della salute, del benessere e della dignità della persona. A tal proposito attendiamo ancora anche il decreto attuativo riguardante gli sgravi contributivi per l'assunzione delle donne vittime di violenza, un provvedimento che andrebbe esteso a tutti i settori produttivi. La strada verso la libertà da ogni sopruso e violenza resta l’atto primario della denuncia, aiutando le donne ad uscire dal silenzio. Per questo occorre rinnovare una vera alleanza tra le istituzioni, le imprese, il sindacato, il mondo della scuola e dell’informazione, per contrastare questa piaga della nostra società. Dovrebbe far parte dei processi educativi e della cultura civica di un paese avanzato e moderno come l'Italia, fin dai primi anni dell'infanzia, spiegare che il rispetto reciproco tra uomini e donne è il fondamento di una comunità».
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29/01/2018 Oltre il gender pay gap, cosa nasconde la disuguaglianza
Nell’analizzare il tema del lavoro femminile, uno degli aspetti più rilevanti è la disuguaglianza retributiva tra uomini e donne: un problema antico, sicuramente in fase di miglioramento, ma non certo superato su scala globale e in Italia. Il fenomeno del gender pay gap è stato approfondito a seguito di una ricerca dell'Inps che copre l'arco di dieci anni (dal 1991 al 2012) dove emerge un'evoluzione in positivo, ma ancora contenuta e complessa: il maggior divario tra la retribuzione degli uomini e quella della donne si manifesta quando guardiamo i lavoratori con salari alti e non possiamo non evocare il problema collegato delle carriere femminili e del "soffitto di cristallo". Gli avanzamenti osservati negli ultimi anni sono avvenuti proprio nel settore dei compensi elevati dove le donne stanno entrando nelle figure apicali, anche nelle aziende private. Diversamente, ancora modesto il percorso in avanti nei settori delle aziende con gli stipendi bassi, chiamato il "pavimento vischioso". Il lavoro in azienda è determinante per contrastare la disuguaglianza di retribuzione in quanto direttamente collegata al comportamento delle imprese: un fattore rilevato dalla ricerca statistica è la constatazione che molta parte delle donne è concentrata nelle aziende dove i compensi sono bassi per tutti i lavoratori, questo comporta un ambiente limitante per la possibilità di superare il divario (circa il 20%) con gli uomini della medesima azienda; è il cosiddetto sorting. Un altro fattore risulta essere quello delle lavoratrici che, all'interno della medesima impresa, non abbiano un buon potere contrattuale rispetto agli uomini e non abbiano la possibilità di negoziazione, con una conseguente percentuale del 10% di disuguaglianza nella remunerazione: questo fenomeno è chiamato bargaining power. Nella statistica, il fattore bargaining risulta essere l'elemento significativo e maggiormente discriminante nelle posizioni dirigenziali e manageriali; in tali posizioni è stata rilevata la minor capacità negoziale delle donne nei confronti del datore di lavoro, contribuendo al mantenimento di retribuzioni minori . Numerose sono le donne che scelgono o accettano di occuparsi nelle aziende con retribuzioni basse per motivi specifici, come avere la vicinanza dell'abitazione con il luogo di lavoro e/o la maggiore flessibilità oraria. Secondo l'Ocse, i datori di lavoro in Italia che applicano la flessibilità oraria sono il 66%: siamo di 15 punti percentuali al di sotto della media scandinava. In Italia, nel settore dei servizi, l'Istat calcola che il 31% delle imprese forniscono gli asilo nido, servizi sociali, servizi ricreativi e di sostegno alle famiglie dei dipendenti; in percentuali minori sono i settori manifatturieri e del commercio. La consistente presenza femminile nelle imprese con salari bassi e contratti a termine si è accentuata nell'ultimo decennio dove abbiamo assistito allo spostamento di occupazione dall'industria al turismo e alla ristorazione. La presenza delle donne è aumentata anche in servizi dove il lavoro è qualificato, di relazione e di cura; nella specie l'aumento sostanziale è, di fatto, delle ore di lavoro (istruzione, sanità e assistenza sociale). I lavori del sociale hanno mantenuto salari bassi a causa di outsourcing, appalti, cooperative e privatizzazione. Emblematico il percorso della Sanità, dove l'esternalizzazione ha prodotto l'abbassamento delle retribuzioni. Il problema del differenziale di genere nelle retribuzioni è stato approfondito e controllato nel Regno Unito che, nel 2017, ha emanato una legge. Le imprese superiori a 250 dipendenti sono obbligate, entro aprile 2018, a comunicare la differenza media risultante dalle retribuzioni e dai bonus dei lavoratori uomini e donne. I risultati dell'indagine inglese hanno sollevato molte polemiche con forti dubbi di validità, ma hanno portato all'evidenza il problema di molte donne che, nelle posizioni di vertice, sono di numero inferiore agli uomini; persiste anche la differenza tra uomini e donne in situazione di parità per istruzione, esperienza lavorativa e identiche mansioni.
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26/01/2018 Molestie sessuali sul luogo di lavoro: dal clamore mediatico alla consapevolezza
In Italia il problema delle molestie sessuali sul lavoro esiste e un'approfondita discussione su questo aspetto della "violenza" non vi era stata prima del clamore sollevato dal caso del regista Weinstein. I tentativi di squarciare il velo sui protagonisti e sulle "vittime" sul lavoro non sono ancora arrivati al fulcro del problema, se non con poche e valide opinioni centrate sull'argomento. Proviamo a fare un po' di chiarezza e a riflettere insieme su un fenomeno complesso dalle molteplici sfaccettature e implicazioni. Quali sono i comportamenti che possiamo definire molestie sessuali nell'ambito dell'ambiente di lavoro? Il “Codice delle pari opportunità” D.Lgs.n.198/2006 all'art. 26 definisce molestie “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Sono tali i comportamenti indesiderati di tipo sessuale manifestati in modo fisico o verbale; la visione della legge è quella di chi subisce. Molte sono le manifestazioni esternate con commenti provocatori che vengono in massima parte tollerati; ma è proprio in un luogo di lavoro che diventa di per sé insopportabile per una donna. Molte dipendenti non ne parlano e non denunciano, il primo motivo è la paura fondata di perdere il lavoro, ma anche di essere giudicate. Le molestie sessuali in gran parte avvengono in luoghi chiusi e senza testimoni; questo le fa sì che sia molto difficile poter dimostrare i fatti con le prove quanto meno presuntive. Un passo avanti ha fatto la Cassazione che ha sancito la possibilità di usare a scopi difensivi registrazioni audio, mail, chat e Sms. Linda Laura Sabbadini ritiene che nell'ambito di lavoro le donne maggiormente esposte ai ricatti sessuali sono "ai piani alti degli uffici", le donne quadri o dirigenti d’azienda, queste infatti sono nella posizione di chi avanza nella carriera e il risultato dipende dal giudizio dei capi uomini. La ricerca dell'Istat ha rilevato che il 99% dei ricatti sessuali non viene segnalato alle forze dell’ordine; nell’81,7% la vittima non ne ha parlato con nessuno sul posto di lavoro e il 18,3% ha raccontato la sua esperienza. Sempre l'Istat ha rilevato che il 14,3% delle donne intervistate lavorava in attività immobiliari e informatiche, il 10,3% nelle attività manifatturiere, il 18% in professioni tecniche, il 7,8% in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione. Per Tatiana Biagioni, già presidente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Milano, le molestie sono un fenomeno molto più diffuso di quanto non appaia dalla rare statistiche a riguardo, perché «molti comportamenti che per legge sono considerati molestie vengono liquidati in Italia come semplici “battute”, che le impiegate continuano a subire in silenzio». In un rapporto gerarchico - il superiore e la dipendente - l'ironia diventa presto un esercizio di potere; infatti la donna difficilmente al superiore può rispondere per le "rime". Un'autorevole e seguita impostazione è quella di considerare la molestia sessuale sul lavoro una dimostrazione e un abuso di potere. Da questa visione ne discende che le molestie sessuali sono il risultato della cultura patriarcale; in effetti nei nostri sistemi la maggioranza del potere è ancora nelle mani degli uomini, ne discende che la mascolinità e il potere sono strettamente legati. Questo significa che la nostra cultura occidentale ha l'assoluta necessità di evolversi in un'ottica di relazioni equilibrate tra uomini e donne, dove la società maschilista abbandoni la propria superiorità che da sola giustifica l'oppressione delle donne.
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09/01/2018 Welfare: cosa vogliono le donne
Nel precedente articolo  "Lavoro e conciliazione dei tempi di vita: pochi passi in avanti" abbiamo evidenziato dai dati Istat 2017 l'attuale situazione occupazionale  femminile. Alcuni elementi sono determinanti per valutare le reali necessità delle donne che desiderano lavorare, senza con questo "abbandonare" la famiglia, mantenendo una qualità della vita soddisfacente secondo una scelta basata sull'autodeterminazione. il tasso di occupazione delle donne con figli minori diminuisce rispetto alle donne senza figli che, diversamente, aumentano i numeri dell’occupazione il tempo parziale “involontario” ha avuto un sensibile aumento Un numero considerevole di donne occupate prestano anche l'assistenza a familiari anziani o, comunque, con handicap: secondo la normativa vigente - legge n.104/1992 e succ. modifiche - sono previsti permessi a ore, giornalieri, riduzione temporanea a part-time e/o aspettativa retribuita per un massimo di due anni. La richiesta di applicazione della legge 104 è aumentata sensibilmente data la possibilità di mantenere il rapporto di lavoro per la durata massima consentita dalle legge e dai CCNL . Con la progressiva diminuzione dei servizi pubblici e le modeste risorse destinate al welfare  si è affermato un "modello" familiare dove un componente del nucleo (in prevalenza la donna) dedica il suo tempo alle necessità di  cura e di lavoro domestico. Un importante intervento legislativo volto a rispondere alle esigenze femminili nel lavoro e nella maternità è stato certamente il Testo Unico sulla maternità, L.n.151/2001,contenente una norma (art.9) che ha avuto applicazione nel reperire risorse ed attivare i primi progetti di welfare di flessibilità organizzativa ed esigenze di cura familiare. Sulla base dell'art.9, le aziende (medie/grandi dimensioni)  tramite accordi di secondo livello hanno dato vita a progetti pilota per favorire la genitorialità, la flessibilità dell'orario di lavoro, il telelavoro e il lavoro agile (smart working). Sul piano della “conciliazione vita-lavoro” il Jobs Act tendeva a realizzare la flessibilità organizzativa del lavoro, ma soprattutto l'integrazione territoriale dei servizi di cura e assistenza erogati sia in ambito pubblico che  in ambito privato (art. 1, comma 9, legge n. 183/2014). In seguito, nel D.Lgs. n.80/2015 art. 25, "Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro",  per il triennio 2016-2018 sono  previsti sgravi contributivi per incentivare la contrattazione collettiva di livello aziendale e si rinvia per i criteri e le modalità al decreto del Governo, in vigore dal 17/10/2017. Nella legge di bilancio è stanziato un fondo per il sostegno di chi assiste (caregiver) il coniuge, i figli o i parenti sino al terzo grado non autosufficienti; rinnovato il bonus bebè (per un anno) e un welfare aziendale per il trasporto. Teniamo sempre a mente, però, che le aziende coinvolte da queste misure hanno di media almeno 100 dipendenti e le misure di welfare adottate sono prevalentemente  indirizzate a servizi di trasporto casa-lavoro, previdenza, assicurazioni, buoni pasto: solo una modesta  percentuale economica viene indirizzata in progetti di conciliazione vita-lavoro. Per Giuseppe Argiolas (Università di Cagliari) l'impresa non può essere guidata dal solo profitto , ma deve ripensare se stessa come soggetto sociale inserito nel territorio, che vuole «investire sul capitale umano, rispettare l’ambiente sviluppando processi produttivi ecocompatibili, curando qualità, sicurezza e affidabilità dei prodotti, sicurezza e stabilità dell’ambiente di lavoro, investendo nella comunità e nei rapporti con il territorio». Anche nelle Marche il calo delle imprese attive nella non aiuta l’evoluzione della cultura d'impresa, rimasta ancorata al profitto. Le soluzioni organizzative che chiedono le donne sono estremamente  impegnative dal punto di vista dell'impresa. Indispensabili per l'effettiva conciliazione vita-lavoro sono asili aziendali, maggiore flessibilità oraria negli asili pubblici o privati in convenzione aziendale, bonus per libri scolastici, maggiore flessibilità dell’orario di lavoro e concessione di part time per alcuni anni dalla nascita del bambino, incentivi per l’assunzione delle babysitter, costituzione della banca del tempo per le piccole necessità familiari e, dove possibile, attuare il telelavoro. Le soluzioni finora scelte dalle aziende sono varie: in alcuni casi c’è la possibilità di iscrivere i figli all’asilo nido aziendale, in altri vengono previsti dei bonus economici per ogni bambino nato. Una strategia alternativa, poi, è quella che prevede una maggior flessibilità dell’orario di lavoro e la concessione del part time fino al compimento del secondo anno di età del bambino. Infine, alcune aziende hanno sperimentato il telelavoro come strategia per rendere più graduale il rientro in ufficio quando a casa c’è un neonato. I servizi di welfare aziendale continuano anche quando i figli crescono. Molte aziende, infatti, propongono incentivi per l’assunzione di baby sitter, organizzano vacanze studio per i figli dei dipendenti oppure pagano parte dei testi scolastici.
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21/12/2017 Lavoro e conciliazione dei tempi di vita: pochi passi in avanti
Consideriamo la recente situazione del mercato del lavoro in Italia da una visuale specifica, quella della conciliazione lavoro- famiglia. Osserviamo un miglioramento nel settore del lavoro con retribuzioni basse (inferiori di 2/3 di quella media) con aumento dei contratti di lavoro, ma instabili e senza sicurezza nella permanenza del rapporto. L’aumento di lavoro coinvolge il Centro –Nord Italia interessando soprattutto donne e giovani. Le risultanze dell’indagine Istat 2017 non indicano l’auspicato miglioramento degli aspetti conciliazione lavoro-famiglia. Dopo un primo periodo di valorizzazione degli aspetti relativi alla conciliazione lavorativa , ora il tasso di occupazione delle donne con figli minori diminuisce rispetto alle donne senza figli che aumentano i numeri dell’occupazione. L’occupazione e la partecipazione al lavoro delle donne tra 25 e 49 anni, con almeno 1 figlio non superiore a 5 anni, non risulta migliorato; in media su 100 donne occupate senza figli, le madri che lavorano con figli in età prescolare sono circa 76. La diversità che si riscontra nelle differenze di genere, gap salariale, diminuisce per effetto di basse retribuzioni e di lavori precari, ad eccezione delle donne con istruzione di alto livello che stanno raggiungendo posizioni occupazionali importanti. Il rapporto di lavoro part-time è aumentato, ma è il tempo parziale “involontario” che si diffonde con un numero di donne consistente, nonostante avrebbero preferito lavoro a tempo pieno. In rapporto al livello europeo la situazione dell’occupazione in Italia rimane inferiore di 1,3 punti rispetto al valore pre-crisi dell’anno 2008. Sono ancora le donne ad essere colpite sensibilmente dal divario, mentre la componente maschile ha recuperato i bassi livelli occupazionali della pre-crisi. Il gap di genere del tasso di occupazione aumenta di poco, mentre il tasso della mancata partecipazione diminuisce in modo leggero. Nonostante questo la differenza di genere è comunque evidente : il 25,9% delle donne che vogliono lavorare non trova occupazione a fronte del 18,2% degli uomini , significa che il divario di genere è ben 5 volte superiore al livello europeo. Difficile il miglioramento di lavoro per le donne giovani tra i 15 e i 34 anni; almeno una su quattro lavora part-time ma vorrebbe un’occupazione a tempo pieno (27% donne in confronto a all’11,1% dei maschi). Il divario intergenerazionale ancora non diminuisce ma si notano spiragli di miglioramento. Per gli ultra cinquantenni aumenta la permanenza nel mercato del lavoro per le recenti riforme previdenziali, i giovani di 20-34 anni e gli adulti di 35-40 anni si stanno portando ad un livello occupazionale comunque in aumento. L’Italia di fronte all’Europa è ancora nelle ultime posizioni delle nazioni europee per il tasso di occupazione (seguita solo da Croazia e Grecia) e per la mancata partecipazione al lavoro (disoccupati e non occupati). È evidente che il miglioramento occupazionale non potrà da solo dare soluzioni soddisfacenti alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
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11/12/2017 Rete regionale contro la violenza di genere, firmato in Regione il protocollo con 65 enti istituzionali
Prevenire e contrastare la violenza di genere puntando sulla collaborazione di 65 enti istituzionali marchigiani. È quanto prevede il protocollo d’intesa che è stato sottoscritto, in Regione, dall’assessora alle Pari opportunità, Manuela Bora, presidente del Forum permanente contro le molestie e le violenza di genere, insieme a rappresentanti Anci, Uncem, Comuni capofila degli Ambiti territoriali sociali, Prefetture, Procura Generale della Repubblica, Corte di appello delle Marche e Magistrature, Carabinieri, Polizia di Stato, Asur Marche, Ufficio scolastico regionale, Organizzazioni Sindacali, Associazioni Datoriali, Commissione regionale pari opportunità, Ombudsman Marche, Corecom Marche, Collegio degli infermieri e gli Ordine dei medici, degli psicologi, degli assistenti sociali, degli avvocati, dei giornalisti. Un progetto che, per la prima volta, individua una governance regionale nelle azioni di contrasto al fenomeno, allo scopo di creare un sistema articolato di interventi, equilibrato e omogeneo sul territorio, e che attribuisce agli Ambiti sociali la responsabilità della gestione territoriale. Con la firma del protocollo i soggetti istituzionali si impegnano a cooperare per contrastare la violenza di genere, aiutare le vittime, promuovere la prevenzione, monitorare il fenomeno, realizzare campagne di informazione e sensibilizzazione attraverso i media e i social media. La Giunta regionale, in tre anni, ha decuplicato le risorse per contrastare il fenomeno, passando dai 100 mila euro del 2015 agli oltre 1,3 milioni attuali e, tra le prime in Italia, ha introdotto l’esenzione del ticket per le donne che subiscono violenza e un codice rosa che garantisce l’anonimato e la presa in carico immediata da parte di un’equipe multidisciplinare. Altre azioni in programma prevedono la realizzazione di centri provinciali per aiutare a guarire gli uomini maltrattanti, come ha detto l’Assessora Manuela Bora. «L’intesa rafforza le attività della Rete antiviolenza delle Marche che opera attraverso articolazioni regionali e territoriali, uscendo dalla logica ristretta delle pari opportunità, per affrontare il problema con una visione più ampia, multidisciplinare, che non riguarda solo l’aspetto sanitario, legale, ma anche quello sociale, formativo, lavorativo e spesso di cura dei figli, vittime loro stessi della violenza che si verifica all’interno delle famiglie - ha affermato Cristiana Ilari, Segretaria regionale della Cisl Marche -. L’obiettivo è anche quello di disinnescare la spirale della violenza. Per questi motivi aver contribuito a costruire percorsi di governance regionali e territoriali nelle azioni di sensibilizzazione e di contrasto alla violenza, ci inorgoglisce come CISL e ci rende altrettanto consapevoli dell’impegno che ci attende, affinchè tali percorsi siano intrapresi attraverso progetti e azioni di rete efficaci».
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15/11/2017 Violenza Contro le Donne: Approvata la ripartizione dei fondi per Centri antiviolenza e Case rifugio
Alla presenza della Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega alle Pari Opportunità, Maria Elena Boschi, le Regioni hanno assicurato l'aumento delle risorse per sostenere economicamente le "Case rifugio" e i "Centri antiviolenza". In previsone, nella legge di bilancio sono ipotizzati 33,9 milioni per il 2018 e 34 milioni per il 2019. Determinante quindi l'aumento dei finanziamenti alle strutture; la recentissima rilevazione ha confermato l'esistenza di 296 Centri antiviolenza e di 258 Case rifugio in Italia. Queste strutture con i loro servizi e interventi supportano, orientano e accolgono le donne nella fuoriuscita dalla violenza psicologica, fisica, economica, sessuale, persecutoria. Necessario far conoscere alla società quanto la Regione Marche di recente ha messo in campo per il contrasto alla violenza di genere. La Giunta regionale, con l’assessora alle Pari opportunità Manuela Bora, ha istituito la "Rete regionale antiviolenza delle Marche". Questo strumento è stato istituito per maggiormente garantire il diritto alla tutela e per proteggere le donne ferite dalla violenza. La rete regionale antiviolenza coordina gli Enti locali, gli ambiti territoriali sociali, i centri antiviolenza, le case di accoglienza o case rifugio, le istituzioni e i soggetti coinvolti nella prevenzione, nella formazione e nel contrasto alla violenza di genere. Quanto costa la violenza? I costi economici della violenza sono diretti e indiretti, pensiamo alle spese per le cure mediche da affrontare, al riguardo segnaliamo che la Regione Marche intende quanto prima ripristinare il fondo per sostenere i costi delle prestazioni sanitarie. Le statistiche recenti segnalano che una percentuale di circa il 15% delle vittime ha dovuto sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, il 18,6% spese per farmaci, il 12,3% spese legali  e il 5% spese per danni a proprietà. Altre situazioni rilevate che incidono pesantemente nella vita quotidiana sono la necessità di assentarsi dal lavoro, l'impossibilità di gestire autonomamente la vita familiare almeno per un periodo di 10 giorni, spesso insufficiente alla ripresa della quotidianità ai quali si sommano, come spese dirette, tutte le prestazioni e servizi erogati dai centri antiviolenza, i costi indiretti per la tutela dei figli delle donne abusate o violentate e i derivanti costi sociali . Significativo l'operato della Commissione di inchiesta sul femminicidio che a settembre 2017 in sede di audizione parlamentare ha pubblicato le rilevazioni e le valutazioni Istat sul femminicidio nonché ogni forma di violenza di genere in italia. Una delle rilevazioni finali della ricerca ha evidenziato la maggiore ricorrenza del reato di violenza sessuale e delle lesioni personali, i maltrattamenti, la violenza privata, gli atti di libidine violenta o atti osceni, il sequestro di persona, ma anche violenza sui minori. Questo evidenzia anche la validità dell’investimento nella rilevazione statistica che accompagna le scelte nel campo sociale e regionale, l’importanza della prevenzione, della formazione e sensibilizzazione per interrompere il ciclo della violenza.
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10/11/2017 Stalking: non avere paura!
Finalmente, grazie a un emendamento del Governo, non sarà più possibile estinguere il reato di stalking per effetto della riparazione anche pecuniaria. Le prime a denunciare il caso gravissimo sono state Loredana Taddei (CGIL) , Liliana Ocmin (CISL) e Alessandra Menelao (UIL). La senatrice Francesca Puglisi (PD) presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, in accoglimento delle richieste dei sindacati, aveva proposto opportuno emendamento al fine di escludere il reato dalle pene “riparatorie”. Le donne umiliate, minacciate, pedinate, vittime di “atti persecutori”, sono in Italia più di tre milioni, secondo i dati Istat aggiornati al 2016. Gli ambiti posso essere differenti, da quello familiare a quello scolastico e lavorativo, il persecutore può essere l’ex partner, un vicino di casa, un collega di lavoro, un estraneo. Molto spesso lo stalker è una persona conosciuta: la maggioranza sono uomini 70%. L’intera comunità sociale deve intervenire in supporto alla donna che riceve telefonate e/o sms insistenti, e-mail ingiuriose, aggressioni verbali e/o fisiche, appostamenti davanti l’abitazione. Le donne vittime di stalking subiscono il disagio psichico, il timore per la sicurezza personale, la paura, l’ansia, lo stress: spesso il loro consueto modo di vivere viene modificato. La prevenzione primaria è acquisire la consapevolezza del problema e non manifestare allo stalker la paura, ma non sottovalutare mai le minacce: occorre rivolgersi alla Pubblica Sicurezza. Presso il Dipartimento per le Pari Opportunità è stato istituito il numero verde 1522 di pubblica utilità, pensato per fornire ascolto e sostegno alle donne vittime di stalking e violenza. Non dimentichiamo che le sanzioni penali non sono sufficienti a risolvere il problema della sicurezza della vittima, quindi teniamo in dovuta considerazione quanto concretizzato nella legge n. 208/2015 che ha istituito, nelle aziende sanitarie e ospedaliere, un percorso di protezione e di tutela delle vittime di violenza (in ottemperanza ai principi della direttiva 29/2012/UE in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato). Solamente la solidarietà concreta di ogni associazione e comunità potrà supportare adeguatamente la vittima del reato di stalking che, oltre la corretta applicazione dei principi di legge, ha la necessità di ricostituire la propria vita serena e sostenibile.
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29/09/2017 Dalla parte delle donne: Cisl Marche collabora all'InformaDonna di Osimo
Cisl Marche collabora allo sportello InformaDonna istituito dal Comune di Osimo negli spazi del Cantinone su iniziativa della Consulta per le Pari Opportunità con lo scopo di fornire un punto di riferimento pubblico e gratuito a sostegno delle donne di ogni età e nazionalità nelle situazioni lavorative, familiari e sociali che le coinvolgono. Un punto d'ascolto e di orientamento che si avvale della presenza di operatrici qualificate, assistenti sociali e psicologhe: Carla Binci rappresenterà la Cisl e si occuperà di problematiche in ambito lavorativo, con particolare attenzione agli episodi di inosservanza dei contratti dietro ai quali si nascondono vere e proprie violazioni della dignità e dei diritti delle lavoratrici in quanto donne, fino ad arrivare a forme di mobbing. I servizi dello sportello sono gratuiti e disponibili negli orari di apertura della sede del Cantinone, adiacenti all’ufficio relazioni con il pubblico al civico 10 di via Fonte Magna; lo Sportello è aperto al pubblico, dal 4 Settembre, ogni martedì dalle 9.30 alle 12.30 e giovedì dalle 15.00 alle 18.00. Sarà inoltre possibile contattare lo sportello telefonicamente ai numeri 0717249246 e 0717249252 o via mail scrivendo a assistente.sociale@comune.osimo.an.it e progettiats13@comune.osimo.an.it ed eventualmente prendere anche un appuntamento per richieste specifiche e particolari.
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18/09/2017 Le madri fondatrici dell'Europa: i valori delle donne per la pace
 La Commissione Pari Opportunità della Regione Marche insieme al CIF di Ancona (Centro Italiano Femminile) in occasione dei 60 anni dalla firma del Trattato di Roma organizzano l'iniziativa dal titolo "Le madri fondatrici dell'Europa". Se non si può negare che le istituzioni europee siano nate grazie al lodevole impegno concreto dei Padri Fondatori, è altrettanto vero che non sarebbe corretto disconoscere il ruolo delle Madri Fondatrici. L'iniziativa della Commissione prende spunto dalla storia di alcune donne, storie che apparentemente potrebbero sembrare lontane ma che sono accomunate dagli stessi valori ed ideali ovvero proteggere quel progetto di pace affinché la guerra non insanguinasse più l'Europa. Ad oggi occorre creare occasioni di conoscenza per far sì che le cittadine e i cittadini europei possano sentire l'Europa sempre più vicina alle proprie esigenze, ridondandole quell'anima e quel senso di responsabilità che sembrerebbe smarrito. L'iniziativa sarà aperta dai saluti istituzionali del Presidente del Consiglio della Regione Marche Antonio Mastrovincenzo e della Presidente del Forum delle donne di Ancona Laura Pergolesi. Dopo gli interventi programmati le conclusioni saranno affidate alla Presidente della Commissione Pari Opportunità Meri Marziali. Coordinerà il dibattito: Maria Antonia Sciarrillo componente della CPO regionale e del CIF di Ancona. L'evento si terrà presso la Sala Ricci - Palazzo del Consiglio della Regione Marche. Al termine seguirà l'inaugurazione della mostra sulle "Madri Fondatrici d'Europa", un progetto dell'università la Sapienza di Roma realizzato dalla Dott.ssa Maria Pia di Nonno, con ritratti di Giulia Del Vecchio.
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11/07/2017 Quanto vale la vita di un figlio?
Un recente articolo della sociologa Chiara Saraceno riprende l’ormai discusso e non risolto problema della donna che lavora e che, avendo deciso di avere un figlio, di fatto rinuncia al 35% dello stipendio (dati Inps): una perdita economica che in tempo di crisi incide fortemente sul menage familiare. Oltre a dover sostenere i costi diretti della maternità, le donne devono fare i conti con una situazione occupazionale che diventa quantomai precaria: molte di loro, dopo la maternità, non riescono a ritornare al lavoro oppure, non trovando nel mercato del lavoro soluzioni idonne alla precedente professionalità, devono accettare occupazioni a più bassa retribuzione. Ciò si ripercuote anche a livello previdenziale, con una ridotta o mancata contribuzione che peserà sulla loro futura pensione. Tra i fattori che spesso costringono le madri a rinunciare temporaneamente al lavoro, spiccano le difficoltà nella conciliazione tra famiglia e lavoro, orari e organizzazione del lavoro poco amichevoli, una condivisione familiare tra padri e madri ancora molto asimmetrica, insufficienti miglioramenti nei servizi della prima infanzia, pochi e costosi, mancati rinnovi dei contratti a termine. Secondo i dati Istat, nel 2015 le nascite in Italia sono state 486.000, un livello minimo superato nel 2016, anno che ha registrato un numero di nascite ancora inferiore: 474.000. Sempre dalle statistiche Istat, emerge che i padri chiedono raramente il congedo parentale e spesso, forzati dal datore di lavoro, hanno difficoltà ad ottenere anche i soli due giorni di congedo di paternità obbligatorio introdotto per legge nel 2012. Il congedo di paternità è maggiormente richiesto al Nord e in misura molto inferiore nelle regioni del Sud Italia. Nel Mezzogiorno si rileva la più alta densità di richieste del “bonus maternità”, il quale costituisce solamente una soluzione momentanea. Quanto vale la vita di un figlio? Incontro una giovane lavoratrice che ha deciso di ricorrere alla fecondazione assistita. Oltre all’emozione di poter finalmente concepire un figlio, la donna ha provato il timore di dover comunicare al datore di lavoro le assenze che la cura può comportare: la normativa italiana, infatti, riconosce un periodo di “assenze di malattia” finalizzate al tempo della cura. La decisione della giovane lavoratrice convince però il datore di lavoro che in futuro vi potrebbero essere “disagi” per ambedue le parti: decide così di “invitare la dipendente” – prima di iniziare la cura - a lasciare l’occupazione. E così avviene. Un’altra giovane signora, che ha un contratto indeterminato, decide di tornare al lavoro al termine del congedo di maternità. Al datore di lavoro timidamente ”chiede” di poter usufruire di due mesi di permessi per l’allattamento: nessuna delle colleghe offre la propria disponibilità a modificare le presenze di lavoro solo per il periodo del godimento dei permessi e così Il datore “suggerisce alla dipendente il licenziamento”. la donna non ha altra scelta e accetta. Una giovane insegnante, mia madre, in anni remoti dovendo partecipare alla commissione degli esami di maturità liceale e destinata in una sede lontana dalla residenza, per un mese ha dovuto soggiornare stabilmente fuori provincia portando con sé le due figlie, “Le donne pagano un prezzo ingiusto per la maternità" (C.Saraceno): spesso le donne si fanno carico di un doppio lavoro e il peso è scaricato in termini di stress personale; ma anche la mancanza di figli potrebbe essere il risultato di una costrizione nascosta dalle numerose condizioni materiali a cui la donna è sottoposta.
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09/06/2017 Un primo passo in avanti nella lotta contro il cyberbullismo
La legge 71/17, concernente “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”,  rappresenta un primo passo significativo per il riconoscimento e la regolamentazione di un fenomeno sempre più in crescita tra gli adolescenti. Tra le novità introdotte dalla legge, in particolare, sono previsti: - l’istituzione di un tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo e l’adozione da parte del MIUR di apposite linee di intervento nelle scuole che dovranno prevedere la formazione del personale scolastico, attività educative per gli studenti e rieducative per i minori coinvolti; - la designazione, in ogni istituto scolastico, di un docente referente in materia che dovrà interagire con le Forze di polizia, con i centri di aggregazione giovanile e le associazioni presenti sul territorio; - la responsabilizzazione del dirigente della scuola che, a conoscenza di fatti di cyberbullismo scolastico, dovrà attivarsi tempestivamente, tranne che i fatti costituiscano reato, per informare i genitori dei minori coinvolti e intraprendere adeguate azioni di carattere educativo; - l’applicazione, in assenza di denuncia, della disciplina sull’ammonimento da parte del questore, prevista già per lo stalking.
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19/05/2017 Famiglia: Cgil, Cisl, Uil, investire di più per rafforzare coesione sociale
«Il nostro Paese deve investire di più sulle famiglie se vuole rafforzare la coesione sociale e dare una nuova direzione allo sviluppo». Così Cgil, Cisl e Uil nella nota unitaria in occasione della Giornata Internazionale della Famiglia. «La perdurante e profonda crisi ha visto ridurre in maniera significativa i redditi, allargando l’area della povertà e, contemporaneamente, sulle famiglie si è aggravato il carico educativo, assistenziale e di cura». Motivo per cui, sostengono Cgil, Cisl e Uil, «non bastano più misure parziali o interventi transitori, vanno promosse politiche organiche e durature per ridare fiducia alle famiglie italiane, destinando maggiori risorse finanziarie, ma anche riorganizzando e ripensando il nostro sistema di welfare sociale e con adeguate politiche per la creazione di nuovi posti di lavoro. Attendiamo per questo un segnale che recuperi subito i tagli ai fondi sociali nazionali». «Sostegno ai redditi, sviluppo dei servizi e agevolazioni per la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari - proseguono - sono i tre assi di una strategia politica che deve vedere la corresponsabilizzazione di tutti i soggetti sociali». Le tre confederazioni ricordano che «abbiamo già avanzato alcune proposte concrete sui singoli temi per noi prioritari: l’introduzione di un assegno universale per sostenere i carichi familiari, più generoso ed equo del sistema attuale, da accostare per le famiglie più disagiate al Reddito di inclusione; la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali ad iniziare dal sistema dei servizi rivolti all’infanzia, alla non autosufficienza e alla disabilità; l’incremento della copertura retributiva del congedo parentale, l’allungamento del congedo di paternità e permessi retribuiti per figli fino ai 16 anni». «Attendiamo - concludono Cgil, Cisl e Uil - che il Governo con la legge di stabilità mostri di condividere la visione delle politiche per le famiglie come investimento per lo sviluppo del Paese e non come semplice costo da inserire nelle voci di bilancio».
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06/04/2017 INPS: continua l’emissione di Voucher baby sitting
L’Inps rende noto che, a seguito delle novità legislative introdotte dal Decreto Legge n. 25 del 17 marzo 2017, che non consente più l’acquisto di “buoni lavoro” (voucher), ha chiesto al Ministero del Lavoro e al Dipartimento Politiche per la Famiglia di poter continuare ad emettere voucher baby sitting – contributo asilo nido, di cui all’art.4, comma 24, lettera b) della legge 92/2012 secondo le modalità già individuate. A seguito della risposta affermativa è possibile pertanto per la madre lavoratrice di richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli 11 mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, voucher per l'acquisto di servizi di baby sitting oppure un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi. La legge di bilancio 2017 ha prorogato per il biennio 2017-2018 il beneficio che resta in vigore sia per le lavoratrici dipendenti e iscritte alla Gestione separata (nel limite di spesa di 40 milioni di euro per ciascuno dei due anni), sia per le lavoratrici autonome e imprenditrici (nel limite di spesa di 10 milioni di euro per ciascuno dei due anni). Le prime due categorie di lavoratrici si devono trovare, al momento di presentazione della domanda, ancora negli 11 mesi successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità e non devono aver fruito ancora di tutto il periodo di congedo parentale. Le lavoratrici autonome o imprenditrici devono aver concluso il teorico periodo di fruizione dell'indennità di maternità e avere ancora almeno un mese di congedo parentale (in relazione al minore per cui si chiede il beneficio) a cui poter rinunciare. Non possono accedere al beneficio le lavoratrici esentate totalmente dal pagamento della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati convenzionati e le lavoratrici che usufruiscono dei benefici del Fondo per le Politiche relative ai diritti e alle pari opportunità secondo la Legge 4 agosto 2006, n. 248. DECORRENZA E DURATA Il contributo è erogato per un periodo massimo di sei mesi, divisibile solo per frazioni mensili intere, in alternativa e con rinuncia alla fruizione del congedo parentale da parte della lavoratrice dipendente. Alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata, alle lavoratrici autonome e alle imprenditrici il contributo è erogato per un periodo massimo di tre mesi. QUANTO SPETTA L'importo del contributo è di massimo 600 euro mensili. Per le lavoratrici part-time il contributo è ricalcolato in proporzione alla minore entità della prestazione lavorativa. Il contributo per l'asilo nido viene erogato con pagamento diretto alla struttura scolastica prescelta dalla madre, dietro esibizione da parte della struttura della documentazione attestante l'effettiva fruizione del servizio fino al raggiungimento dell'importo di 600 euro mensili. Il contributo verrà erogato esclusivamente se il servizio per l'infanzia viene svolto in una struttura scelta dalla madre e presente nell'elenco pubblicato sul sito INPS. Il contributo concesso per il pagamento dei servizi di baby sitting viene erogato attraverso il sistema di buoni lavoro corrisposti esclusivamente in modalità telematica. QUANDO FARE DOMANDA Le lavoratrici dipendenti e iscritte alla Gestione Separata possono presentare la domanda negli 11 mesi successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità. Le lavoratrici autonome e imprenditrici possono presentare la domanda dopo aver concluso il teorico periodo di fruizione dell'indennità di maternità ed entro l'anno di vita del minore. Si può presentare la domanda di accesso al beneficio per ciascun figlio purché ne ricorrano i requisiti. L'INPS provvede ad avvisare il datore di lavoro della lavoratrice della proporzionale riduzione del periodo di congedo parentale conseguente alla concessione del beneficio. COME FARE DOMANDA La domanda va presentata online all'INPS attraverso il servizio dedicato, o tramite Contact center al numero 803 164 (gratuito da rete fissa) oppure 06 164 164 da rete mobile; oppure attraverso enti di patronato come l’INAS-CISL. Nella domanda la madre deve indicare: a quale dei due benefici intende accedere e in caso di scelta del contributo per le spese della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, indicare la struttura nella quale il minore è iscritto; il periodo di fruizione del beneficio, indicando il numero dei mesi; il numero di mesi del congedo parentale al quale intende rinunciare; di avere presentato la dichiarazione ISEE valida. Per il pagamento del contributo gli asili è necessario inviare alla struttura provinciale INPS territorialmente competente la delegazione liberatoria di pagamento e la dichiarazione della madre lavoratrice assegnataria del beneficio di fruizione del contributo economico per l'acquisto dei servizi dell'infanzia. Tali documenti sono indispensabili per il pagamento delle fatture relative all'erogazione dei servizi per l'infanzia.
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06/04/2017 Disoccupazione di genere: l'espulsione delle donne dal mondo del lavoro
Chi sono le donne che non lavorano? Occorre tenere presente che ci sono le donne che in passato hanno lavorato e le donne che non hanno mai avuto un’occupazione, ma desiderano trovare un’attività lavorativa. L’uscita delle donne dal mercato del lavoro ha le sue motivazioni principali nella nascita di un figlio, nelle situazioni lavorative incompatibili con la vita privata e nel pensionamento . Tra le donne che non lavorano una parte desidera lavorare, ma alla condizione di avere un contratto con l'orario part-time oppure una retribuzione adeguata al grado di istruzione universitario. Tra le donne che non cercano il lavoro ci sono le giovani che vogliono continuare gli studi e che in seguito vengono demotivate dall’impossibilità di un impiego adeguato. Chi sono le donne che lavorano o cercano un lavoro? Le donne si sentono spinte a lavorare per vari e diversi motivi, come quello economico in particolare per le donne che hanno una famiglia, oppure per desiderio di indipendenza come accade per le più giovani, che in seguito affrontano periodi di non lavoro per l’oggettiva difficoltà di inserirsi nel mercato del lavoro; ma ci sono motivazioni psicologiche e sociali, oltre quella economica, che attengono sia alla sfera privata e individuale sia alla dimensione pubblica e si ricollegano al bisogno di affermarsi e di esprimere se stesse, le proprie risorse, di mettersi alla prova, di stabilire relazioni, di sentirsi parte di una dimensione collettiva di utilità per la propria comunità. Le donne, i figli e il lavoro: ancora un equilibrio difficile Il lavoro entra generalmente in conflitto con l’attività lavorativa e comporta la riduzione del numero delle ore lavorative quando i figli sono in età pre-scolare. Avere più di un figlio significa impegnarsi nella cura familiare, ma a volte sentirsi “costretta” a cercare di nuovo il lavoro per contribuire economicamente. Per tutte la conciliazione rimane la grande sfida, anche se sta incominciando a profilarsi una cultura della condivisione all'interno della famiglia. il tema di un welfare sempre più articolato (sociale, aziendale, sussidiario con connessioni pubblico-privato) è in stretta relazione con il lavoro femminile. La CISL Marche ha elaborato i dati regionali dell’anno 2016 in relazione alla disoccupazione, attestando la persistenza dell’estrema difficoltà lavorativa, in particolare nelle provincie di Ancona e Macerata. All’interno di questa realtà nelle giovani donne è stato registrato un aumento del tasso di disoccupazione , nella fascia di età 15-29 anni. Il tasso di disoccupazione di genere è altissimo ed è aumentato di 5 punti sia sul dato provinciale sia sul dato regionale, le donne sono state generalmente le prime ad essere espulse dal lavoro. Il tasso di disoccupazione femminile raggiunge il 12,7%, tra i più alti del Centro-Nord Italia, e la disoccupazione delle giovani donne è sopra al 40%; questo ci porta a constatare che l’elemento discriminante è il “genere”. Altri dati preoccupano la disoccupazione di genere: le donne sono in numero maggiore rispetto agli uomini tra i laureati, ma hanno maggiori difficoltà a trovare lavoro. Nel lavoro sono ancora penalizzate in termini contrattuali e retributivi, continuando ad essere ritenute una risorsa secondaria. Nel futuro prossimo vedremo se il bonus dell’Inps porterà a un cambio di marcia. Le imprese “in rosa” negli corso degli anni hanno avuto nelle Marche un sensibile sviluppo anche in termini di auto imprenditorialità, pur pagando la lunga crisi e gli eventi sismici, che hanno fermato molto del mercato del lavoro nel sud della regione. In Italia secondo i dati Istat, aumenta la disoccupazione solo femminile, questo a conferma delle conosciute complessità di coniugare lavoro e famiglia, con un numero crescente di neo mamme che escono dal mercato del lavoro. Nel confronto con gli altri Stati europei, il gap è evidente anche in Spagna, in Grecia e in Croazia. L'Istat ha effettuato anche un’indagine conoscitiva, in termini di genere, sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne; tutto questo considerando a monte il problema delle diseguaglianze nel mercato del lavoro e nell'organizzazione dei tempi di vita di uomini e donne. A causa di questa realtà, l’Italia rimane ancora al di sotto della media europea; vediamo che l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ha dato al nostro paese il 69° posto nella classifica mondiale per la parità di genere.
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03/04/2017 Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere
La Cisl nazionale, insieme a Cgil e Uil, nella ferma volontà di dare attuazione con maggiore vigore alla lotta contro la violenza sulle donne, ha sottoscritto un piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere. La normativa attuale prevede un congedo straordinario per le vittime della violenza sui luoghi di lavoro, ma è necessario mettere in campo altri sostegni concreti per dare attuazione agli scopi prefissi nell’Accordo nazionale sottoscritto nel 2016 tra le parti sociali, nonché ai principi enunciati nella Convenzione di Istanbul. Le istituzioni, le associazioni, gli organismi di Parità, non da ultimo le donne e gli uomini nei loro posti di lavoro: tutti siamo chiamati a tessere reti per la formazione, la parità effettiva tra uomini e donne nella vita lavorativa, la parità salariale, l'assunzione di comportamenti non discriminatori, la maggiore attenzione per la violenza domestica, per la realizzazione di un modello sociale che ponga al centro la salvaguardia della dignità e del posto di lavoro. Link al sito della Cisl Nazionale
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27/03/2017 Riflessioni di donne nei Trattati Europei
Il 25 marzo 1957 a Roma, grazie all’attività intensa e alla preparazione italiana, veniva creata la Comunità economica europea (Cee) e la Comunità dell’energia atomica (Euratom). I Trattati sancivano una coesione degli Stati con la partecipazione di sei Paesi: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Le politiche economiche portarono agli scambi di merci, ma anche delle persone con il principio della libertà di circolazione, l’apertura al mondo del lavoro e ai diversi sistemi di welfare nazionali. Sono trascorsi anni di conoscenza e di evoluzione dei rapporti tra i popoli d'Europa; ricordiamo ad esempio il programma Erasmus per gli studenti, grazie al quale oggi i giovani da almeno due generazioni possono sentirsi cittadini d'Europa. Ma, nonostante le aperture, il fallimento del progetto di Costituzione europea nel 2005, con il “no” dei francesi e degli olandesi, dimostrò che la coscienza europea per l’unità politica non era ancora maturata e che molta strada c'è ancora da fare. Il cammino europeo cosa ha significato per le donne? Quali le tappe della comune lotta alla discriminazione e dell'affermazione di una cultura della parità? Ripercorriamole. Nel Trattato di Roma viene sancito per la prima volta un principio economico fondamentale: la parità salariale tra i sessi, che costituisce un fondamentale risultato della Comunità europea . Inizialmente, nel Trattato, all’art.119 veniva stabilito l’obbligo per gli Stati di rispettare il principio della parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici per uno stesso lavoro. L’articolo fu poi modificato con l’art. 141 del Trattato di Amsterdam del 02/10/1997: “Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”. A norma dell’art.141 Trattato di Amsterdam, per retribuzione si intende: “il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest’ultimo…”. E ancora il medesimo articolo specifica che "a. la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura; b. che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro”. Il Trattato chiarisce : “Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedono vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sotto rappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali”. Già nel 1973 con un programma d’azione sociale, il Consiglio dei ministri della Cee approvò una direttiva auspicando il “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile”. Nel 1981 è stato attivato il Comitato Consultivo per le Pari Opportunità; nell’anno 2000 i principi del Trattato di Roma vengono riaffermati nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, ancora oggi in vigore. Con la Direttiva 2000/78 il Consiglio europeo stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro , recepita dall’Italia con D.Lgs.n.215/2003. Nell’anno 2006 viene costituito l'Istituto europeo per l'eguaglianza di genere che ha il compito di fornire competenze tecniche alle istituzioni europee e agli Stati membri per integrare il principio di uguaglianza nelle loro politiche, diventerà operativo nel 2010. Il Trattato dell'Unione Europea (Maastricht 1992) e, ancora, il Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) rimarcano con forza il principio di parità tra uomini e donne e dà alla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europa lo stesso valore giuridico dei Trattati (ad esclusione di regno Unito, Repubblica Ceca e Polonia). Inoltre, per la parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il Trattato di Lisbona prevede la possibilità degli Stati membri di adottare delle opportune misure volte ad “avvantaggiare le attività professionali del sesso sottorappresentato e a stabilire compensi per gli svantaggi nelle carriere professionali” (Art.157,4 Tfue). Il problema dell’equilibrio tra impegni familiari e lavoro è risolto attraverso il fondamentale riconoscimento giuridico del diritto al congedo di maternità stabilito nella Carta dei diritti, prevedendo che ogni individuo abbia il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e abbia il diritto a un congedo di maternità retribuito (Art. 33). Nel Trattato di Lisbona viene fatto esplicito riferimento anche alla violenza domestica sulle donne (dichiarazione relativa all’art.8 del Tfue e alla tratta degli esseri umani (Art. 79,2,d Tfue). Nel 2010 la Commissione europea adotta una “Carta per le donne” nella quale si impegna a colmare le differenze uomo-donna nel mondo del lavoro, a partire dalla disparità di retribuzione. Nell’anno 2012 con la firma di 32 paesi viene sottoscritta la Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro al violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica; nel 2013 l’Italia ratifica la convenzione. Nel 2013 viene attivato un sistema informatico, Gender equality index, per la consultazione di ciascun Stato europeo e per argomenti. La volontà degli Stati europei di portare avanti il valore dell’eguaglianza tra il sesso femminile e il sesso maschile, in ogni aspetto della vita ed anche nel lavoro, si è sviluppata lentamente, ma in modo costante. Un apporto determinante lo ha avuto l’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) con la “Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione tra la manodopera maschile e la manodopera femminile”. La parità tra donne e uomini è certamente uno dei valori fondanti dell'Unione Europea. Negli anni ’90 la parità si è allargata rispetto a razza, religione e orientamento sessuale. Nel Trattato di Roma, l'articolo 13 invita il Consiglio europeo ad adottare provvedimenti contro le discriminazioni sessuali; gli articoli 137 e 141 sanciscono la parità tra uomini e donne in tutti i campi. Nonostante l’attenzione dimostrata per le problematiche femminili, nel Trattato di Lisbona e nella Carta dei diritti non si trova menzione il tema della violenza sessuale sulle donne (a prescindere da quella domestica e dallo sfruttamento vero e proprio) o delle diverse forme di violenza psicologica esercitata a danno delle donne in vari contesti, come mobbing sul lavoro o stalking. Le modalità per sostenere le politiche di genere sono complesse, in quanto i provvedimenti per combattere le discriminazioni fondate sul sesso devono essere assunti dal Consiglio, deliberando all'unanimità con una procedura legislativa speciale,previa approvazione del Parlamento europeo. I risultati del progresso europeo di eguaglianza tra donne e uomini non sono ancora soddisfacenti, ma dobbiamo evidenziare che attraverso l’affermazione di principi e di progressione normative a favore della parità - l’indipendenza economica, la parità di retribuzione per lo stesso lavoro , la parità nelle attività decisionali , la salute, la difesa della dignità e dalla violenza – questi valori si stanno consolidando nella società e dovranno essere universalmente riconosciuti.
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15/03/2017 La violenza sulle donne e la crisi economica
L’Unione Europea ha condotto una ampia ricerca sulla violenza contro le donne per individuare i differenti motivi alla radice della violenza, considerando i peridi di crisi economica e sociale degli Stati europei. L’immagine che è scaturita nei diversi Stati è complessa e merita approfondimenti, ma sintetizzando e semplificando la violenza nel contesto attuale può trarre origine anche dagli shock economici e dalla disoccupazione improvvisa, anche se ovviamente non possiamo trarre un rapporto deterministico di causa effetto tra la fragilità economica e violenza, considerato che la radice profonda del fenomeno è di tipo culturale; ma proprio sul riaffermarsi di una cultura neopatriarcale di difesa può influire la frustrazione economica e psicologica derivante dalla crisi. La situazione economica costituisce terreno fertile per la criminalità e la violenza sulle donne. Un rapporto sui diritti umani condotto in quattro Stati della regione mediterranea, Italia, Francia, Grecia e Spagna, focalizza il ruolo della perdita del lavoro nell’ambito della violenza domestica: “la disoccupazione del coniuge è anche un fattore di rischio..”. Quando i due partner lavorano , il 2% delle donne affermano di avere subito violenza, contro il 4,6% delle donne disoccupate dove anche il coniuge ha perso il lavoro. Ben 400.000 donne raggiunte hanno riferito di avere subito le violenze fisiche dal partner; il numero delle donne vittime è tendenzialmente quattro volte più alto rispetto alle famiglie con reddito medio. Dall’indagine condotta in Spagna si ritiene che l’aumento della violenza di genere sia una delle conseguenze della maggiore disoccupazione e della disuguaglianza di reddito tra uomini e donne. Il rapporto afferma che i tagli finanziari finalizzati al consolidamento fiscale hanno avuto un grave impatto sul bilancio annuale per violenza di genere, che viene ridotto ogni anno, sin dal 2010 . In Grecia la recessione è iniziata nel 2009, gli uomini senza lavoro sono frustrati nella figura ideale di capofamiglia; le conseguenze portano all’aumento delle tensioni familiari con manifestazioni di violenze e maltrattamenti. Si è constatata l’altissima ricerca delle donne per assistenza e accoglienza ; in modo identico sono sensibilmente aumentate le richieste di intervento della polizia nei luoghi domestici. La ricerca in Italia ha sottolineato che la prolungata recessione economica rischia di aggravare ancora il problema della violenza, anche se. Le donne che vogliono abbandonare la situazione violenta non hanno la possibilità di reperire i soldi necessari, mentre lunghi periodi di disoccupazione possono far perdere agli uomini gli ancoraggi sociali che trattengono la violenza.  La recessione in Italia, iniziata nel dicembre 2007 con un tasso sempre più alto di disoccupazione, ha registrato l’aumento di chiamate e di richieste di aiuto ai Centri contro la violenza domestica. Nel contesto di tale cambiamento i servizi per le donne, italiane e immigrate che hanno subito varie forme di violenza, necessitano più che mai del supporto necessario delle Istituzioni, di risorse economiche e gestionali, di una rete territoriale efficace e inclusiva.
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13/03/2017 Bonus nascite e congedi parentali: i requisiti
Nella Legge di bilancio per il 2017 è previsto che a decorrere dal 1 gennaio 2017 è riconosciuto un premio alla nascita o all’adozione di minore dell’importo di 800 euro. Il premio è corrisposto in un’unica soluzione su domanda della futura madre al compimento del settimo mese di gravidanza o all’atto di adozione. Requisiti generali Il premio alla natalità è riconosciuto alle donne gestanti o alle madri che siano in possesso dei seguenti requisiti:  residenza in Italia;  cittadinanza italiana o comunitaria; le cittadine non comunitarie in possesso dello status di rifugiato politico e protezione sussidiaria sono equiparate alle cittadine italiane per effetto dell’art. 27 del Decreto Legislativo n. 251/2007;  per le cittadine non comunitarie, possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all’articolo 9 del Decreto Legislativo n. 286/1998 oppure di una delle carte di soggiorno per familiari di cittadini UE previste dagli artt. 10 e 17 del Decreto Legislativo n. 30/2007, come da indicazioni ministeriali relative all’estensione della disciplina prevista in materia di assegno di natalità alla misura in argomento (cfr. circolare INPS 214 del 2016).Maturazione del premio alla nascita o all’adozione Il beneficio di 800 euro può essere concesso esclusivamente per uno dei seguenti eventi verificatisi dal 1° gennaio 2017: compimento del 7° mese di gravidanza;  parto, anche se antecedente all’inizio dell’8° mese di gravidanza;  adozione del minore, nazionale o internazionale, disposta con sentenza divenuta definitiva ai sensi della legge n. 184/1983;  affidamento preadottivo nazionale disposto con ordinanza ai sensi dell’art. 22, comma 6, della legge 184/1983 o affidamento preadottivo internazionale ai sensi dell’art. 34 della legge 184/1983. Il beneficio è concesso in un’unica soluzione, per evento (gravidanza o parto, adozione o affidamento), a prescindere dai figli nati o adottati/affidati contestualmente.Termini di presentazione della domanda e documentazione a corredo Il premio alla nascita è corrisposto su domanda della madre avente diritto all’INPS. La domanda va presentata dopo il compimento del 7° mese di gravidanza e va corredata della certificazione sanitaria rilasciata dal medico specialista del Servizio sanitario nazionale, attestante la data presunta del parto. Se la domanda del premio è presentata in relazione al parto, la madre dovrà autocertificare nella domanda la data del parto e le generalità del bambino. In caso di adozione/o affidamento preadottivo si richiamano le istruzioni contenute nella circolare INPS n. 47/2012, par. 2: in particolare - se la richiedente non allega alla domanda il provvedimento giudiziario (sentenza definitiva di adozione o provvedimento di affidamento preadottivo ex art. 22, comma 6, della legge 184/1983), abbreviando così i tempi di definizione della domanda - è necessario che nella domanda siano riportati gli elementi (sezione del Tribunale, la data di deposito in cancelleria ed il relativo numero) che consentano all’Inps il reperimento del provvedimento stesso presso l’Amministrazione che lo detiene.Inoltre – nel caso la domanda sia presentata da cittadina non comunitaria - se la richiedente non allega alla domanda copia di uno dei titoli di soggiorno utili per accedere al premio di cui trattasi, specificati al precedente punto 1, è necessario indicare nella domanda gli elementi identificativi che consentano la verifica del titolo di soggiorno (tipologia del titolo, numero titolo, Questura che lo ha rilasciato).Le verifiche dei titoli di soggiorno sono effettuate dall’INPS mediante accesso alle banche dati rese disponibili dal Ministero degli Interni e da altre Amministrazioni. All’esito di tali verifiche, la sede INPS territorialmente competente potrà richiedere l’esibizione del titolo di soggiorno qualora ciò si renda necessario per esigenze istruttorie.Premesso quanto sopra, con successivo messaggio saranno fornite le specifiche istruzioni per le modalità di presentazione delle domande telematiche. Sarà cura dell’Istituto divulgare, nei tempi più rapidi possibili e nel modo più ampio, anche attraverso il proprio sito internet, le istruzioni per la presentazione delle domande e le relative modalità, senza alcun pregiudizio per le aventi diritto dal 1° gennaio 2017. Saranno fornite successivamente le istruzioni procedurali e quelle contabili per i pagamenti. Congedi obbligatori per i padri lavoratori dipendenti: proroga per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenute nell’anno solare 2017I congedi obbligatori per i padri lavoratori dipendenti, come disposto dall’art. 1, della legge n. 232 del 11 dicembre 2016, (c.d. legge di bilancio 2017) sono stati prorogati anche per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenute nell’anno solare 2017. Il congedo obbligatorio è pari a due giorni da fruire, anche in via non continuativa, entro i cinque mesi di vita o dall’ingresso in famiglia o in Italia (in caso di adozione/affidamento nazionale o internazionale) del minore.Per quanto riguarda le modalità di presentazione della domanda si richiama quanto già precisato nella circolare 40 del 14 marzo 2013; sono tenuti a presentare domanda all’Istituto solamente i lavoratori per i quali il pagamento delle indennità è erogato direttamente dall’INPS, mentre tutti i lavoratori, per i quali le indennità sono anticipate dal datore di lavoro, devono comunicare in forma scritta al proprio datore di lavoro la fruizione del congedo di cui trattasi, senza necessità di presentare domanda all’Istituto.In questi casi, infatti, i datori di lavoro comunicano all'INPS le giornate di congedo fruite, attraverso il flusso Uniemens, secondo le disposizioni fornite con messaggio Hermes n.6499 del 18 aprile 2013. Il congedo facoltativo per i padri non è prorogato per l’anno 2017 e pertanto non potrà essere fruito né indennizzato da parte dell’Istituto.
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08/03/2017 Il Diritto di Contare: la storia della corsa allo spazio (e ai diritti)
Il Diritto di Contare Titolo originale: Hidden Figures Ci sono storie che, davvero, vale la pena vengano raccontate: e la storia di Katherine Johnson, e delle colleghe Dorothy Vaughn e Mary Jackson, è senza dubbio una di quelle. Tratto dal libro che ha dedicato loro Margot Lee Shetterly, Il diritto di contare racconta la vicenda di tre donne nere che, nell'America del 1961 hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo della NASA. Senza la Johnson, in particolare, John Glenn non sarebbe stato il primo americano nello spazio, o forse sarebbe morto in missione. Senza di lei, gli Stati Uniti non avrebbero messo piede e bandiera sulla luna. Tutto questo grazie a Katherine Johnson. Nera. E donna. Nell'America e nella Virgina del 1961: due anni prima della marcia su Washington del Reverendo King, e quando Kennedy stava ancora lavorando sulle leggi che avrebbero garantito i diritti civili alla popolazione afroamericana e che sarebbero sfociate nel Civil Right Act, o dell'istituzione della Commissione Presidenziale sullo Status delle Donne. Da un lato il sogno di Katherine Johnson, di Dorothy Vaughn e Mary Jackson, quindi; dall'altro il sogno kennediano della conquista dello Spazio. Due sogni e due utopie che si sono realmente intrecciate come solo la realtà può fare, e che sono diventati realtà grazie alla capacità di poche persone di essere visionarie. Di guardare oltre i numeri, come dice Kevin Costner nei panni di Al Harrison, director of the Space Task Group, e vedere qualcosa che non c'è ancora: essere già lì, dove il resto del mondo deve ancora arrivare. Yes We Can, si sarebbe detto fino a poche settimane fa. Le tre afroamericane hanno contribuito con grande impegno e determinazione alla vittoria americana nella corsa allo spazio contro il “nemico” sovietico, ma ancora di più la loro vittoria riguarda anche molto altro, il superamento della segregazione legalizzata e della discriminazione razziale degli anni ’60 negli Stati Uniti. Oltre al riconoscimento dei diritti per il genere femminile. Guardando il film, se ci si pensa, ci si rende conto che di passi avanti non ne abbiamo fatti ancora abbastanza: per i neri, per le donne, per tutti coloro cui viene tolto qualche diritto, negata qualche possibilità. Nonostante la scienza, la NASA, nonostante Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson. La cui storia doveva essere raccontata: anche al cinema, anche così.
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03/03/2017 8 Marzo 2017, Le donne sono il cuore dell'economia europea #NoViolenza #Paritàsalariale
La Cisl, in vista delle celebrazioni per la Giornata Internazionale delle Donne dell'8 Marzo, aderisce,  insieme agli altri sindacati,  alle iniziative promosse dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) al fine di unire tutte le forze sindacali europee per dare maggiore incisività alla loro azione dentro e fuori i singoli confini nazionali. Lo slogan “Le donne sono il cuore dell’economia europea” è stato rafforzato con l’uso degli hashtags #Noviolenza e #Paritàsalariale  per richiamare ancora una volta l’attenzione delle istituzioni e del Governo su questioni che oltre a ledere i diritti delle donne nell'immediato ne protrae gli effetti negativi nel tempo. In media in Europa le donne guadagnano il 17 per cento in meno rispetto agli uomini. Uno dei motivi è che le donne hanno più difficoltà a conciliare impegni di lavoro e familiari. Di conseguenza, sono loro soprattutto a scegliere il lavoro a tempo parziale e a interrompere continuamente la propria carriera, con conseguenze dirette e deleterie sui salari. Il gender pay gap rimane, dunque, un tema cruciale per il sindacato nella lotta contro le discriminazioni legate al genere, tenuto conto del fatto che una sua sostanziale riduzione, oltre a rilanciare i consumi e l’economia, eliminerebbe un’altra disparità, direttamente collegata alla prima, il gap pensionistico che vede nel nostro Paese le donne percepire un assegno di pensione inferiore di circa il 30% rispetto agli uomini.        
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27/02/2017 Welfare aziendale e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro
Per il primo marzo la Cisl Marche organizza un seminario dal titolo “Welfare aziendale e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro". Tale iniziativa va nella direzione che la Cisl si è data di rafforzare le strategie contrattuali e i modelli organizzativi nei luoghi di lavoro e nei luoghi di vita, per essere più prossimi e vicini alle esigenze dei lavoratori, per adeguare le scelte politiche e i modelli organizzativi ai cambiamenti della società. Il lavoro, vissuto come bene pubblico, può consentire alla società di progredire e di creare relazioni sociali, di generare nuovi patti di convivenza, affinché si superino particolarismi ed individualismi. Con la contrattazione la Cisl discute e concerta sugli interessi delle persone, sui loro desideri e sui loro bisogni, ricercando e proponendo soluzioni innovative. La contrattazione sociale, nell'ottica di un superamento di un’azione meramente rivendicativa presso i tavoli istituzionali, cerca di costruire nuovi processi di governance partecipata che portino allo sviluppo del territorio, valorizzando, attraverso la fase di ascolto ed accompagnamento, le esigenze delle persone, aggregando ed organizzando la domanda sociale per proporre nuovi modelli dei servizi ed interventi qualificati ed efficaci. Ma ciò non è sufficiente. Occorre ripensare i modelli organizzativi del lavoro che permettano di per superare quegli ostacoli culturali, sociali, che impediscono l’effettiva parità di opportunità tra uomini e donne, tra persone di diverso genere e che generano discriminazione. Spesso, per esempio, sentiamo parlare di gap retributivo. Ma che cosa è? Il divario retributivo di genere è la differenza tra il salario orario medio lordo degli uomini e quello delle donne nell’intera economia dell’Unione, espresso come percentuale del salario maschile. A livello europeo si è calcolato che mediamente 59 sono i giorni che una donna dovrebbe lavorare in più per guadagnare quanto un uomo. Rispetto agli uomini, le donne in Europa, in media, guadagnano circa il 18% in meno (per ora lavorata). Questa disparità si ripercuote, oltreché sulla carriera retributiva, su quella pensionistica. Il divario retributivo di genere permane la causa delle discriminazioni dirette e/o indirette e delle modalità che caratterizzano la partecipazione al mercato del lavoro da parte di uomini e donne. Assumono, così, un significato rilevante la disuguaglianza di genere in differenti ambiti del mercato del lavoro, la diseguaglianze verticale nelle posizioni organizzative, la divisione disuguale del lavoro di cura e la concentrazione femminile in lavori “non standard”. In Italia il gap retributivo è più lieve rispetto ad altri Paesi europei (6,5% rispetto alla media di 16,5% di altri), anche se nel nostro Paese la differenza delle retribuzioni tra i sessi ha registrato uno dei maggiori aumenti durante la crisi, oltre al fatto che le donne hanno subito maggiormente le espulsioni dal mercato del lavoro, spesso con l’arma del sottile ricatto, determinando maggiore precarietà e povertà, soprattutto nel famiglie monogenitoriali o ove chi lavora è solo un genitore. Ancor di più, la discriminazione in Italia per il genere femminile è data dalla carenza di opportunità di accedere e permanere nel mercato del lavoro, nonostante spesso l’elevata formazione, dalla difficoltà di poter svolgere mansioni superiori, di accedere a percorsi di carriera. Le motivazioni di queste discriminazioni riguardano soprattutto la cura nei confronti di figli e di anziani specie non autosufficienti. Esempi virtuosi: vi sono, datori di lavoro giovani che assumono donne in stato di gravidanza, perché altamente qualificate e specializzate, ma sono casi talmente rari che suscitano clamore e fanno notizia. Ma, è bene ribadirlo, il mercato del lavoro continua a penalizzare i giovani, anche le madri: le donne con un figlio hanno meno probabilità di lavorare di quelle con tre in ben 14 altri paesi europei. Da quanto esposto si evince che l’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro sono ancora oggi faticosi. In realtà studi economici testimoniano che la maggior presenza della componente femminile nel mercato del lavoro, si tradurrebbe in circa 7 punti di PIL in più per l’economia: il lavoro delle donne crea altro lavoro ed è un indicatore e fattore di sviluppo. Da aggiungere che dal punto di vista sociale la perdita del lavoro comporta problemi di vulnerabilità familiare e sociale e l’aumento delle povertà. Pertanto occorre ripensare le politiche, le politiche attive del lavoro, le politiche socio-assistenziali e socio-familiari, le politiche di conciliazione, la cui risposta non può essere relegata all’utilizzo dei fondi europei per attivare voucher (si veda Regione Marche), ma ad una programmazione più efficace degli interventi e dei servizi. Tra l’altro proprio le mutate condizioni economiche e sociali portano il welfare a porre al centro della propria politica le persone e le famiglie, favorendo relazioni tra i diversi attori, promuovendo la dimensione territoriale delle risposte ai bisogni e l’empowerment dei cittadini e dei corpi intermedi. Siamo convinti che per rilanciare e sostenere l’occupazione, in particolare quella femminile, oltre a rafforzare le politiche attive per il lavoro, occorre creare un nuovo equilibrio tra uomini e donne, tra famiglia e lavoro, tra spazio privato e pubblico, mettendo al centro le politiche per la famiglia, incentivare la contrattazione di secondo livello territoriale e aziendale, che può favorire la possibilità di contrattare in azienda forme di accordi sulla conciliazione, percorsi formativi per il rientro dopo un periodo di congedo, sostenere le imprese che investono sulla flessibilità e sulla conciliazione. Queste sono misure per favorire la ricollocazione delle donne nel mercato del lavoro. Tutto ciò soprattutto in questa fase in cui il mercato del lavoro è in evoluzione e si dovranno possedere una diversa formazione professionale, altamente specializzata, sperimentare un’ulteriore organizzazione del lavoro, che vedrà tutti noi coinvolti: donne e uomini, giovani e adulti.
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